10/04/07

Lucetta Frisa, APPUNTI PER I CARDELLINI (Prima parte)



[Are these little ones feeding from the tree of life? (Detail - Amalfi Cathedral) Foto di Marzia Poerio]







Nella primavera del 2006, il canale CULT di SKY, trasmise un cortometraggio che trovai sconvolgente: CARDILLI ADDOLORATI, diretto da Carlo Luglio e Romano Montesarchio: raccontava la cattura e il commercio dei cardellini nella borgata di Secondigliano di Napoli. Decido di non trascurare questa emozione. Perché il cardellino attira tanto gli uomini? È il suo corpicino palpitante, indifeso e sfuggente, a eccitare desiderio di possesso? Intorno alla sua voce, potente e melodiosa, si svolge un commercio convulso. Il documentario alterna le scene assordanti del mercato a scene di un silenzioso appostamento da parte di un bracconiere illegale,in un campo selvatico, alle prime ore dell'alba. La cattura dei cardellini non è solo un lavoro ma una insopprimibile passione. Un intervistato dice, serissimo, che, se dovesse scegliere tra sua moglie, i suoi figli, e i cardellini, sceglierebbe senza esitazione questi ultimi. Altri che, se privati dei cardellini, arriverebbero al suicidio.

Il più richiesto e il più caro è il cardellino accecato. La privazione della vista lo fa cantare con tutte le forze della disperazione, e pare che anche quelli che vanno in muta fuori stagione cantino meglio degli altri. Non sapevo nulla di cardellini fino a questo momento.

Subito mi viene in mente IL CARDILLO ADDOLORATO di Anna Maria Ortese (Milano, Adelphi, 1999): libro confuso e complesso, ambientato a Napoli, che non ho letto e non leggerò. So che il motore della trama è la soffocazione di un cardellino ucciso per gelosia. Per la Ortese il cardillo è una bestia-angelo, simbolo di un'innocenza la cui soppressione genera un ossessivo senso di colpa e un dolore cupo, senza fine.

"Sto' criscenno no bello cardillo
Quante cose ca ll'aggi'a imparà
Ha da ire da chisto e da chillo
Li'mmasciate isso m'ha da portà".

Sono i versi di una famosa canzone napoletana.

Ambasciatore d'amore? Vittima sacrificale degli intrighi umani? Tutto quanto è volatile, porta notizie e messaggi. Spiritelli buoni e maligni, strumentali agli uomini, però talvolta anche vendicativi. Uccelli di cieli bassi che si muovono nello stato mediano dell'aria, combattuti fra due desideri: volare e posarsi. Ma posarsi li espone alla cattura. Poi, una volta dietro le sbarre, vengono ammirati e ipocritamente compatiti.

Tra i prigionieri è facile si crei un'alleanza. I carcerati allevano cardellini, o i più comuni canarini. Certi manuali affermano che un tempo gli allevatori-carcerieri tagliavano loro il becco periodicamente - un cono perfetto che cresce in continuazione - insieme alla unghie. Celebre esempio di tale alleanza prigioniero-cardellino è nel film L'UOMO DI ALCATRAZ, dove un possente Burt Lancaster, incarcerato per omicidio, si dedica amorosamente all'allevamento di questi uccelli - inconsapevole autoterapia della propria violenza criminale. Ma, se il carcerato è presumibilmente colpevole, il canarino non lo è. L'attrazione tra colpevoli e innocenti farebbe parte, quindi, di una regola naturale. Un ex ladro intervistato nel documentario, mostra con orgoglio sul suo torace il tatuaggio di un cardellino, ricordando di averne allevati ben sette nella sua cella, e tutti canterini. "Per sopravvivere l'uomo deve farsi animale e l'animale uomo" - scrive Max Ernst.

È il cardellino il nostro piccolo albàtro domestico? Tante le figure mercuriali, dal mito alla letteratura, che assumono le valenze del "diverso" e dell'alieno e sono vulnerabili più degli altri. Anche il Cherubino mozartiano è, in fondo, un cardellino. Forse anche il Monaciello napoletano, spiritello malaticcio e dispettoso, solitario e malinconico (come può esserlo un giovane monaco) molto temuto e onorato da chi non ha fortuna. Rappresenta in modo conturbante il desiderio frustrato di una vita pienamente vissuta. Forse il cardillo attira le voglie di chi vede in lui quello che in lui non c'è più o mai c'è stato: l'aria dell'infanzia, il suo respiro, il suo canto.

Che differenza c'è tra cardellino e canarino? Bisogna che vinca la pigrizia e apra il vocabolario:

CANARINO: "Uccello dei Fringillidi, originario delle Canarie, di Madera e delle Azzorre, ove tutt'ora si trova allo stato selvatico, con un piumaggio di color verde variegato di grigio e giallo oro. Importato in Europa, per la soavità del suo canto, fin dal secolo XVI ed allevato su larga scala, se ne sono ottenute numerose varietà dai colori più diversi (giallo, rosa, arancione, salmone ecc)".

CARDELLINO: "Uccello dei Fringillidi, con testa nera e bianca e, in corrispondenza della faccia, rossa, dorso nocciola, ali di color nero, attraversate da una banda gialla,coda nera. Ha un canto grazioso e vive facilmente in cattività. Ama la pianta di cardo".

Nell'iconografia, il cardellino è simbolo della passione e resurrezione di Cristo. Esiste una produzione sterminata di dipinti antichi e moderni (da Bosch a Raffaello, al Ghirlandaio a Crivelli fino a Picasso e a Mirò) che riporta la figura del cardellino. Nella MAESTÀ di Lorenzetti a Siena, Gesù Bambino arretra spaventato davanti al cardellino che gli evoca la sua futura passione. Un quadro tutto laico è il commovente DON MANUEL OSORIO DE ZUÑIGA di Goya, uno dei miei quadri preferiti, dove un bambino di nobile casato è ritratto nella sua stanza assieme ai suoi animali, compagni di cattività, tra cui dei cardellini dentro una gabbia. Se cantano o no, non lo possiamo sapere. Il quadro è muto.

Ma dipingerli non è - ancora una volta - imprigionarli per sempre dentro la gabbia del quadro?

Una risposta può darcela Roberto Longhi, che nel suo RITRATTO DI DAMA dipinge un canarino che scappa dalla gabbia…C'è allusione all'inconscio libertino della dama?

Ecco che mi tornano in mente le strofe di un'altra celebre canzone napoletana (REGINELLA) in cui, a un certo punto, l'innamorato tradito, si rivolge al cardellino:

"O cardillo, a chi aspetta stasera?
Nun ‘o vide, aggiu aperta ‘a caiola
Reginella è vulata, e tu vola!
Vola e canta, ma nun chiagnere ccà!
T'è à truvà ‘na patrona sincera
Ca' e cchiù degna ‘e sentirte e cantà".

Da dove viene il cardellino? Paliurus spina Christiè un arbusto diffuso in tutto il Mediterraneo meridionale. Dove nascono i cardi e gli arbusti spinosi, l'acqua scarseggia. L'ambiente è di privazione. Il cardellino soffrirà la sete. Perlustra siepi e arbusti spinosi, in cerca dell'acqua. Si nutre di trafitture. Forse conosce il segreto di non feririsi o per lo meno di non avvertire le punture dei cardi. Con il Paliarus spina Christi si costruivano corone di tortura, da infliggere ai malfattori e ai rivoluzionari di Galilea. E poi Gesù sulla Croce, oltre al dolore della corona spinosa, non ha patito la sete? La sete è spina conficcata in gola.

Per saperne di più dovrei consultare un libro di ornitologia. Ma in fondo, cosa me ne importa? Non mi piace approfondire troppo certe cose che mi suggestionano. Temo di deludere la mia immaginazione, anche se non sempre è così. Preferisco mantenere un mistero, un'ignoranza, una domanda in sospeso. Comunque ora so che canarino e cardellino abitano luoghi caldi: anche Cristo è nato nel sud. Adesso la figura sacrificale del cardellino mi è un po' più chiara.

A Bergamo Alta visito a giugno OLTRE LA RAGIONE, bellissima mostra di alienati artisti o artisti alienati. Subito mi colpiscono i disegni di uccellini gialli di Tarcisio Merati. Una sequenza di uccellini gialli posati su dei cardi (o cactus). Per Merati l'uccello si ferisce se si posa a terra, eppure resta aggrappato al proprio luogo di dolore. E spinoso è anche il sesso femminile a cui allude, non molto diverso dall'immagine freudiana della vagina dentata. Ma dei canarini Merati ha disegnato anche il canto: un pentagramma fatto di brevi linee inclinate e sottili e sotto, numeri e sillabe di due o tre lettere. Tra un gruppo di note e l'altro si allarga o si restringe lo spazio bianco del silenzio, secondo le sue irregolari battute. Anche Merati è prigioniero, non solo come lo siamo noi tutti del nostro destino, ma della propria alienazione. È ovvio che si identifichi in quei canarini sacrificati.

Qualche giorno dopo l'amico Francesco Denini, violinista e musicologo, ci ricorda Olivier Messiaen, che si dedicò al canto degli uccelli tentando, in fascinosi brani pianistici, di imprigionare le forme del loro canto. Non a caso ha scritto anche il poema sinfonico SAN FRANCESCO dove a "stonare" sembra sia solo il canto umano. Credo fosse ossessionato dal canto degli uccelli. Come Charlie Parker, soprannominato Bird perché - così narra la leggenda - rincorreva gli uccelli nei parchi con il suo sax tentando di imitarne la melodia. In quanto a me, aspetto con ansia la primavera per riascoltarli. Spalanco il balcone e mi sdraio sul divano, facendo finta che sia un prato: solista e coro, i loro cambiamenti di registro, le riprese prepotenti, il tintinnare delle note che si spargono in lontananza fino ad ammutolirsi pian piano, mi mandano in estasi. Gioia di esistere che si gira in una domanda, una insistente, tenace interrogazione che non ha bisogno di risposta. "Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo" - scrive Leopardi. Almeno così sembrano.

Mi piacciono i libri che parlano di animali. In estate, visito a Celle Ligure una mostra di piccoli editori sotto la squallida volta di una galleria di cemento e adocchio l'ultimo libro di Stefano Lanuzza, originale scrittore "notturno", fiero flâneur di argomenti eretici. Si intitola BESTIA SAPIENS (Roma, Stampa Alternativa, 2006) e un capitolo intero è dedicato agli uccelli e al loro linguaggio. La cosa divertente è che anche Lanuzza, come Merati, descrive in ben 7 righe di suoni onomatopeici - il canto degli uccelli. Cip cip, trrr, tin tin, ploeploeploe, icio ciù ciù, fill, vhiu krrr, uit tenten, zip zip, chiu trrr, glo cro que, szu, igne, chio cociù,rrrr, klo klu kluo... Nel documentario su CULT si diceva che, per essere più apprezzato, il canto del cardellino, deve fare zizzi zizzi e ble ble ble...
Chi mi ha parlato di un certo Zora Kecaari, poeta visionario, che recita il Padre nostro emettendo suoni gutturali, dolci e profondi come un gorgoglio di oche? Fonemi impossibili da ripetere. Sono i versi degli uccelli di cui solo gli Udini (popolo nomade dell'Azerbaigian) riescono a ricordare l'alfabeto.

In libreria cerco BIRDY di William Wharton - citato proprio dallo stesso Lanuzza che la definisce "una storia di un'assimilazione ornitologica coniugata con le metamorfosi e le simulazioni della schizofrenia". Pubblicato nel 1978, questo libro è introvabile. Invece vedo il film tratto dal libro, regia di Alain Parker, con un giovane Nicolas Cage, insolitamente bravo, e l'intenso Matthew Modine. La trama, in breve: è tanto grande la passione per gli uccelli che un giovane compie un definitivo transfert col suo canarino. Ricoverato in manicomio, il corpo retratto e accovacciato in un angolo della cella, il giovane mima l'atteggiamento dell'uccello e ha il viso sempre rivolto a un pezzetto di cielo che il finestrino incornicia. Se la follia è una fuga dal reale, la sua è una fuga "immobilizzata" in una figura di libertà e di volo, assolutamente muta…

Dentro una magnifica gabbia in ferro battuto, appesa all'arco della porta della suggestiva Taberna El Patio andaluz, c'è un canario. Lo vedo, anche se è nascosto e immobile. Forse dorme, ormai abituato ai rumori e alle voci del ristorante. Non so se è canterino o no, se sia quindi maschio o femmina. Troppo difficile chiederlo ai camerieri indaffaratissimi, per lo più non sapendo una parola di spagnolo. Forse dovrei agitargli un fazzoletto bianco sotto gli occhi per stimolarlo a cantare come ho sentito dire nel documentario. Siamo a Cordoba. Ho cominciato dai cardilli napoletani - più o meno addolorati - e sono approdata a un canario andaluso. Tutti in gabbia. Ma ci fu mai un tempo che i cardellini si aggiravano più tra cielo e alberi che tra le sbarre?

"Cardellino mattutino
sovrano delle cime
guarda in che modo tanto triste
hanno ucciso Emiliano.

Ruscelletto impetuoso,
che ti disse quel garofano?
dice che il comandante non è morto
che Zapata tornerà".

È una canzone popolare messicana e ogni commento è superfluo.

E ancora questa, di Vitorino Nemésio, poeta portoghese delle Azzorre:

"O CANÀRIO DE ORO

Se lascio entrare questo canarino d'oro
che mi spia e becchetta
(io che sono le ossa, la gabbia
- debole canarino giallo!
Io, maestro come uno scolaretto…)
Allora sì: Canta. Resta.
[…]
Ah, è magari il mio sangue il canarino!"

Perché ne LO CUNTO DE LI CUNTI, Giovanbattista Basile, tra i tanti animali che popolano i suoi racconti, non accenna mai al cardillo? Un uccello non ancora approdato a Napoli? Eppure, nell'iconografia del XVII secolo, la sua immagine è ricorrente. Anche Hans Christian Andersen, due secoli dopo, non scrive fiabe di cardellini o canarini, ma di usignoli. E Andersen soffriva di umiliazioni, di complessi d'inferiorità, ritenendosi vittima della società del suo tempo. Viaggiò nel Sud - in Italia e Spagna - ma i cardellini o i canarini nulla hanno suggerito alla sua immaginazione. Forse perché gli usignoli cantano meglio? Di Andersen, a Malaga, esiste una piccola statua di bronzo nero seduta su una panchina e con l'aria di un corvo appollaiato. Perché il bronzo, per scolpire gli scrittori? Perché la scultura? Un altro esempio è Fernando Pessoa accomodato davanti al suo Caffè Brasileira a Lisbona e James Joyce a Dublino che però è in piedi. Un altro ancora è il nostro Leonardo Sciascia, a Recalmuto. Dentro al bronzo, anche gli scrittori sembrano uccelli in gabbia.