09/04/07

Angelo Tonelli, LA TRAGEDIA COME VISIONE INIZIATICA


[A. Trifoglio, 1969, china su carta. Collezione privata]















Secondo alcune fonti antiche [1], Eschilo, con le sue tragedie, profanò i Misteri Eleusini, e per questo fu processato: ciò significa che la tragedia eschilea rappresenta una divulgazione dei Misteri, e comunica un indicibile árreton. In quale senso?

Le rappresentazioni tragiche facevano parte delle feste in onore di Dioniso, e venivano considerate rito, azione sacra, proprio perché realizzavano una condizione dionisiaca collettiva, una trance condivisa.

Il drãma greco mirava a condurre i theómenoi (i nostri "spettatori", ma nel termine greco si allude a un "guardare a bocca aperta", estasiati), a una condizione di coscienza particolare, voleva iniziarli a una sapienza mistica: questo è evidente soprattutto nell'ORESTEA di Eschilo, che è iniziazione al máthos attraverso la compartecipazione con il páthos che i protagonisti della tragedia vivono di fronte agli occhi dei theómenoi, sotto i raggi abbacinanti del sole ellenico [2].

Analogamente Eraclito folgorava: "a tutti gli uomini tocca in sorte di conoscere se stessi e cogliere la sapienza suprema" (22B116DK).

In quale senso dunque la tragedia eschilea - e la tragedia greca in generale - rappresenta una profanazione, ovvero una comunicazione essoterica dei Misteri Eleusini? In che cosa consiste, al di là della lezione ormai desueta di Nietzsche, la dimensione iniziatica della tragedia greca?

Certamente nella comunicazione di una sapienza (il máthos eschileo) che scaturisce dalla visione di un dráma carico di significato e pervaso da una tensione che conduce il theómenos a una illuminazione conoscitiva attraverso la partecipazione emotiva a un tragitto di katábasis e anábasis, dal caos all'armonia.

Ma soprattutto nella contemplazione vivente del mistero di vita e morte.

Certo, si tratta di un' operazione essoterica, di una divulgazione dei misteri eleusini la cui epoptéia era costellata da ben più mistiche e metafisiche visioni dell'assoluto. Ma a chi sappia guardare ad essa con occhi da iniziato la tragedia greca si rivela paradigma fondamentale di ogni teatro che voglia aiutare l'umano a trascendere se stesso e recuperare, orfeodionisiacamente, la propria scintilla divina.

[1] Cfr. Eschilo, LE TRAGEDIE, traduzione e a cura di A. Tonelli, Venezia, Marsilio, 2000, p. 8 e 32 ss.
[2] Cfr. qui sotto AGAMENNONE, vv. 174 ss., da "Ma raggiungerà il culmine della sapienza".

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Eschilo, AGAMENNONE, vv. 160-247

Parodos (canto di ingresso) del Coro formato da anziani di Argo

STROFE II

Zeus, quale mai egli sia,
se con questo nome ama essere invocato,
con questo nome io invoco: soppesando ogni cosa
non trovo confronti con Zeus,
se veramente devo cacciare dal pensiero
questa cieca oppressione.

ANTISTROFE II

Chi un tempo fu grande,
ricolmo di ardire guerriero,
di costui non si dirà neanche che sia esistito.
E chi nacque dopo di lui
scomparve a sua volta,
imbattendosi in Colui che lo sconfisse tre volte.
Ma raggiungerà il culmine della sapienza
chi gioiosamente celebri la vittoria di Zeus,

STROFE III

di Zeus che conduce i mortali
sulla strada della saggezza
e decretò il principio sovrano:
"patendo
conoscere".
Invece del sonno stilla dinnanzi al cuore
il tormento memore del dolore,
e la saggezza raggiunge
persino coloro che la respingono.
È questa la grazia violenta dei divini
che siedono sui sacri scranni.

ANTISTROFE III

E allora il comandante più anziano delle navi acaiche, che non biasimava i veggenti,
assecondò quel vento di sventura, mentre il popolo acheo,
affamato perché non poteva muovere le navi, spossato,
stava fermo di fronte a Calcide,
nella costa di Aulide, dov'è fragore di opposte correnti.

STROFE IV

E i venti che venivano dallo Strimone, venti
di indugio funesto, di fame, di sosta forzata agli ormeggi, rovina
di uomini che non risparmia navi e cordami,
dilatando continuamente il tempo,
estenuavano, logorandolo, il fiore degli Argivi.
E il profeta proclamò ai capi un altro rimedio,
più grave ancora di quella tempesta amara,
rivelando l'ira di Artemide. E gli Atridi
percossero la terra con gli scettri,
e non tennero più a freno le lacrime.

ANTISTROFE IV

E il più anziano dei capi,
così parlando, disse: "Grave sventura
non obbedire, ma anche grave sventura
uccidere la figlia, splendore della casa,
contaminando nei rivoli di sangue della vergine sgozzata
queste mani di padre, presso l'altare. Quale
di questi due atti è senza sciagura? Come potrei
abbandonare le navi e tradire i miei alleati? Furiosamente
è necessario desiderare sacrificio e sangue virginale
che faccia cessare i venti. E così sia!"

STROFE V

E sprofondò sotto il giogo della necessità,
e spirando rivolgimento empio dell'animo
sacrilego e impuro, con mutato pensiero
fu pronto a osare ogni cosa. Turpe,
miserabile follia, fonte prima di sciagura,
ricolma i mortali di audacia temeraria. E sopportò, il padre,
di farsi sacrificante della figlia, per aiutare la guerra
che vendicava il rapimento di una donna,
celebrazione propizia al viaggio delle navi.

ANTISTROFE V

Suppliche, il nome del padre invocato, l'età virginale,
non valsero a nulla presso i condottieri
avidi di guerra. Lo ordinò ai servi il padre, dopo i voti agli dei,
di sollevare alla stregua di una capra sull'altare,
con cuore deciso, la fanciulla avvolta nei pepli, capo reclino,
e di trattenere il grido della sua bocca, bella prora del volto,
perché non maledicesse la casa

STROFE VI

con violenza e forza muta di bavagli; ed essa,
lasciando cadere al suolo le vesti color del croco,
dagli occhi feriva i sacrificanti,
a uno a uno, con dardo di pietà, stagliandosi bella
come in un'immagine dipinta, e voleva
parlare,
perché già tante volte
nelle sale ben allestite del padre
aveva cantato, e con voce pura di vergine,
amorevolmente, per l'amato padre,
aveva intonato alla terza libagione
il peana di buon augurio.