25/01/07

Marco Ercolani, IL TEMPO DI PERSEO

Novi Ligure (AL), Joker, 2004


Una nota dell'autore rivela che questo libro è stato scritto nel 1987 e pubblicato solo diciassette anni dopo con modifiche di scarsa entità; si sottrae ai generi letterari: "questo testo difficilmente classificabile - saggio critico? confessione di poetica? racconto fantastico? documento clinico?"; ha per tema il "rapporto tra follia, immaginazione e poesia" (p. 57).
Si suddivide in due parti: MAELSTRØM e IL TEMPO DI PERSEO. Riferisce di un personaggio non nominato per nome e designato dalla terza persona, del quale nella prima parte si descrive il progresso dell'insorgere di immagini interiori deliranti; da qui si traggono riflessioni, con momenti anche aforistici nella seconda parte più che nella prima.
Le ultime due pagine richiamano i particolari del racconto di Perseo utilizzato come contrappunto allegorico metaletterario; e suggeriscono che nel confine tra l'impresa compiuta dall'eroe (impadronirsi della testa della Medusa) e la conclusione della sua esperienza col rientro nella vita quotidiana, ovvero sul bordo che separa il mito dalla realtà, si instaurano la dimensione del ricordo e il desiderio di futuro e, fuori di immagine, lì risiede la letteratura:

"Perseo è colui che POSSIEDE la testa recisa, in attesa di RESTITUIRLA. Sa che dovrà farlo. Che il tempo a lui concesso, dopo l'avventura favolosa, è breve e presto la bisaccia sarà vuota. Ma, nel tempo di quel ritorno, si ritrova con un potere magico, effimero, sotterraneo, che non lo rende né sano né folle ma possiede la sua esistenza. Perseo trattiene dentro di sé questo enigma e ne consuma l'ultima febbre in tracce e parole. Tracce e parole che si spegneranno solo quando la testa ritornerà alla dea e all'eroe rimarrà la confusa memoria del viaggio avvenuto e il remoto desiderio di ricominciarlo ancora" (p. 56).

Retrospettivamente il protagonista del volume potrebbe essere un Perseo collettivo, archetipo riposto dentro la psiche di ciascuno e dal quale si generano la letteratura e la malattia mentale. Il confine tra l'arte e la psicosi è il rapporto del soggetto con le visioni:

"[...] quando un pezzo di Sacro si dibatte tra le tempie come un frammento ostile è la fine. Ma se cominci a guardare in te stesso, rifiutandoti di essere fantasma in un mondo persecutorio, allora scoprirai, al centro del labirinto del tuo corpo, non il mostro che ti strazierà ma, più spietato e distante, lo specchio che ti costringe alla necessità della mediazione, alla duplicità dell'arte, alla manifestazione del delirio [...] e non sarai condannato a smarrirti. La pazzia diventerà luogo di sensi, segni, disarmonie, e della complessità di questi segni tu sarai attore, rinunciando al ruolo di vittima di un incomprensibile caos" (pp. 12-13).

Le immagini che si presentano nella confusione interiore nei momenti di insorgenza del delirio e in base alla "follia che sta dentro di te" sono febbrili, da lì va ricavato un significato fondato sull'individuazione di un "linguaggio di conoscenza":

"La follia è questo lago interno che contiene la nostra specifica voce, annegata in mezzo alle altre, e finché non riesce a manifestarsi, a conquistarsi un senso come profezia, come Linguaggio espresso nella lingua dell'uomo, non fa che esistere nei confini della norma trasgredita, definendosi come pazzia" (p. 14).

Arrendersi a tutte le immagini che si affacciano dall'inconscio conduce al delirio e al suicidio; la poetica le organizza e le trasforma in orchestrazione vitale. Il rapporto è tra io e inconscio (parola, la seconda, notiamo, non usata da Ercolani); ma anche tra io e mondo. Il mondo è "una polifonia di simboli" (p. 31); il delirio compie una "SOSTITUZIONE MAGICA di un mondo SICURAMENTE negativo con un altro APPARENTEMENTE positivo" (p. 41); l'individuo "solo se perde il mondo può ritrovarlo. Ma, se non lo ritrova, impazzisce" (p. 48).
Con un linguaggio ritmico e denso, questa meditazione è una narrazione tardomoderna sullo scopo e la nascita dell'impulso alla scrittura letteraria, con associazioni, per lo meno in chi stende le presenti note, al pensiero di Jung e un'attenzione al territorio delle ombre interiori da portare in luce e convogliare con "lucidità e consapevolezza": valori non sempre immediati e chiari nelle poetiche odierne e legati invece alla tradizione di arte intesa come conoscenza della modernità delle origini novecentesche.


[R. Bertoni]