25/08/18

Alessandra Trevisan, A MARGINE DELLE PRIME PROVE DI SCRITTURA DI GOLIARDA SAPIENZA




["From one to the next space" (La Spezia 2018). Foto Rb]



L’apporto di Goliarda Sapienza al cinema di Citto Maselli e di altri registi attivi tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta, come attrice, doppiatrice, sceneggiatrice e precoce actor coach – negli anni Ottanta e Novanta per i film di Maselli – è uno tra gli aspetti legati alla sua figura approfonditamente analizzato dalla critica[1]. Recitazione e scrittura sono andate, infatti, di pari passo dal 1952-1953 circa, anni in cui Sapienza ha lavorato con Alessandro Blasetti e Michelangelo Antonioni (prima che in Senso, a teatro, in un nuovo allestimento di Medea). In quel momento sono nate alcune prose della raccolta postuma Destino coatto (Empirìa, 2002) e le poesie di Ancestrale (La Vita Felice, 2013). Si tratta di scritti composti in un tempo in cui l’attrice/autrice si stava misurando con una liricità che proveniva da ambiti affini: il teatro di prosa di cui era interprete (ma scriverà anche pièce, tra il ’65 e l’87), il ruolo di attrice minore in lungometraggi e lo scambio intellettuale con l’entourage di Citto hanno contribuito a formare quel sistema di pensiero laterale che caratterizza la pluriartisticità di Sapienza.


L’anno 1952 – prima della scomparsa della madre, l’attivista socialista Maria Giudice (1880-1953) – segue il successo pirandelliano del ’51 in Vestire gli ignudi, dove recita nella parte della protagonista. Il ’51 è anche l’anno in cui appare ne La morsa, episodio di Blasetti all’interno del film collettivo Altri tempi, e in cui Mario Camerini nell’ Ulisse (non accreditata). Il ’52 sembra anche segnare un passaggio cruciale di intenso lavoro ai documentari di Maselli, che ha in più occasioni ricordato il contributo della compagna[2]. L’attenzione di Sapienza è rivolta alla costruzione filmica e al montaggio[3] come elementi di un linguaggio scrittorio da apprendere attraverso esperienze dirette:

“La macchina da presa – disse una volta – mi insegnò a vedere e a vivere la vita”[4].

tanto cinema fatto con Citto in pieno entusiasmo e accordo: 40 documentari e 4 o 5 film fino ai “Delfini” o “Gli indifferenti”: ho fatto tutti i mestieri e… ho imparato più dal cinema che da cento università.”[5]

Lei stessa, definendosi cinematografara, ha proposto un criterio d’indagine che apre alla possibilità di ricercare, nelle pieghe del suo lavoro, ulteriori luoghi d’origine della scrittura, ancora inediti.


Nel ’51-’52 Citto Maselli girerà la più parte dei suoi corti, alcuni dei quali disponibili grazie all’Archivio digitale dell’Istituto Luce[6]:

“sulla fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta i miei migliori documentari furono Finestre purtroppo perduto, e poi Bambini che ebbe un buon successo a Cannes [sic. Venezia] […]. Seguirono Ombrellai cui tengo moltissimo e Zona Pericolosa sull’istigazione alla violenza che il cinema, i giocattoli e la stampa a fumetti costituivano nella società di allora. […] il carattere un po’ didascalico, di “denuncia”, del film era attenuato da uno stile fortemente poetico e da immagini (volti di bambini e la tragica periferia urbana alla Sironi) di grande intensità. […] Per quello che riguarda Ombrellai […], devo dire che per me è tra le cose migliori che ho fatto in assoluto, e a me è molto caro perché colpì particolarmente Visconti segnando l’inizio di un’amicizia e anche di un rapporto di lavoro per me fondamentali.”[7]

Tra quelli pur non tutti citati dal regista ma di presunta ambientazione romana si hanno: Quando nessuno ci vede, Zona pericolosa, Fioraie e Niente va perduto, questi ultimi due prodotti da Giuseppina Bazzichelli[8]. È d’interesse notare che solo Bambini – girato nella periferia di Perugia[9] – porta un commento parlato di Giorgio Bassani, segno della collaborazione con un autore lirico cui, tuttavia, quell’incarico fu affidato con riluttanza[10]. Da poco restaurato, anche Città che dorme girato nel ’52 è ambientato a Roma: lo si scopre dall’inquadratura del Palazzo di Vetro all’angolo di via XX Settembre, oggi demolito.

Non si conosce la partecipazione di Goliarda Sapienza alla scrittura del commento parlato dei documentari del compagno. L’Archivio Luce non fornisce i credits dei commenti, né per quanto riguarda la scrittura né per ciò che concerne la voce utilizzata; non si tratta, tuttavia – almeno fino a Palio Marinaro (ambientato nella Livorno del 1953) e a Festa a Positano del ’54 – di quella di Giorgio Notari, dal Ventennio storico collaboratore del Luce.

L’ascolto dei testi porta a riconoscere da un lato una dichiarata lettura lirico-neorealista dal punto di vista del contenuto, dall’altro un taglio giornalistico-sociologico di stampo neo-verista; in essi sono presenti, inoltre, vocaboli arcaici che la scrittura di Sapienza non conosceva nelle piccole cronache liriche di Destino coatto.


A questo livello esistono prove di almeno due interventi significativi dell’attrice/autrice atti ad attestare il valore della ricerca di una propria voce lirica, oltre che un interessamento al mondo dell’inchiesta sul campo: tre documenti radiofonici realizzati da Ernesto De Martino per la Rai nel 1954 (disponibili grazie all’ICBSA), dove si ritrova la voce di Sapienza che, nel 1951, aveva partecipato, in qualità di voce narrante femminile, al documentario di Florestano Vancini Delta Padano[11].

Come ricorda Mara Blasetti in un’intervista del 2010 a Emma Gobbato, Maselli e Sapienza frequentavano Vancini. Lo stesso regista rammenta che, dopo quel corto diffuso dal 1952, la sua carriera fu supportata da rapporti lavorativo-sociali più solidi tra cui quello con Antonioni[12], com’era accaduto a Maselli. 

Ferrara è la città natale di Vancini e Bassani, e Roma è un crocevia d’incontri per chi al cinema dedica tutto: come Maselli e Bassani, co-sceneggiatori, insieme ad Antonioni, Diego Fabbri, Suso Cecchi D’Amico, Turi Vasile e Roger Nimier, de I vinti di Antonioni (1953); Vancini esordirà poi, sul grande schermo, con La lunga notte del ’43 (1960), tratto dal romanzo omonimo di Bassani.


Come anticipato, nel 1951 Sapienza lavora con Arnoldo Foà per Vancini. I due sono attori di teatro con frequentazioni comuni (e lo saranno fino gli anni Ottanta): non solo Visconti ma anche Guido Salvini, che diresse più volte Goliarda sul palcoscenico[13]. Delta padano è un tirocinio per la sua voce, primo strumento di avvicinamento alla letteratura. Dall’utilizzo della voce sulla scena al textum filmico dialogico: questo continuo sperimentare il sé attraverso nuove conoscenze dimostra un’adesione profonda al proprio tempo in termini di militanza, e una spinta alla scoperta del come servirsi della voce narrante che sarà utilizzata, di lì a qualche anno, nei romanzi Carluzzu o Romanzo su Carlo (incompleto, 1959 o 1961-2 circa) e Lettera aperta (versione integrale 1963 circa)[14].

Sebbene le case di produzione di Vancini (Camera Confederale del Lavoro di Ferrara e Padus Film) e Maselli (Opus Film) siano diverse, il materiale testuale risulta tematicamente simile: il documentario del ferrarese porta all’attenzione alcuni episodi apparentemente insignificanti della vita di alcuni bambini poveri, così come in Bambini il gioco e la quotidianità appaiono cifre di un mondo che si sta ricostruendo dopo la guerra. Osservando entrambi i documenti si può parlare di opere con una forte presa sulla realtà ma con un’inclinazione propagandistica – nel caso di Vancini dell’allora da poco nata CGIL. 

Sapienza voce-di-voci – e non solo doppiatrice – appartiene a un mondo intellettuale che si riconosce nei valori del comunismo (Maselli ne ha sempre dichiarato l’adesione) e che porta avanti una lettura del presente che si misura con l’ideologia. Lei esprimerà in molti passi dei Taccuini de Il vizio di parlare a me stessa (Einaudi, 2011) il suo distacco dal PCI, che ostacolò la sua professione di scrittrice; dal canto suo preferirà affidarsi a un sentire anarchico poi votato, dall’86 circa, a un appoggio dato al Partito Radicale.

In una fase precoce di scoperta del mondo quali sono gli anni Cinquanta, Sapienza cerca di costruire la propria espressività. Dal punto di vista stilistico-interpretativo, la sua prova risulta efficace, in sintonia con le linee guida che si riscontrano nei corti di documentaristi coevi.

Voce donna Se al giovane del delta il nuovo giorno sembra non portare prospettive, la bimba che si prepara ad andare a scuola è in fondo fortunata.
Voce uomo Perché dodici bambini su cento muoiono qui prima dei cinque anni. 
Voce donna Ma c’è chi ascolta la notte il suo respiro per scoprire un ospite consueto.
Voce uomo La tubercolosi, che colpisce uno e spesso due abitanti su dieci. 
Voce donna Una cartella che non viene raccolta da un bimbo che ha avuto altro a cui pensare è un episodio quasi insignificante. 
Voce uomo Ma centinaia di episodi simili fanno nel delta circa il 40% di analfabeti […][15].

Le classi povere sono testimoni del secondo dopoguerra, come conosciamo anche dall’explicit, in cui si assumono le direttrici narrative della fame e del lavoro:

Voce donna […] È questo il tempo in cui la gente ha imparato a vedere come proprie le sofferenze di ognuno. Così si conclude la storia, semplice come il pianto di un bimbo cui portano via la mamma. 
Voce uomo Soltanto è una storia vera. È la storia di trecentomila italiani ai margini delle più fertili terre del nostro paese. Soltanto c'è chi ogni giorno guardando un bambino ricorderà che alla vita dell'uomo occorre il pane sicuro. Il pane di cui sono larghe le terre del Po quando gli uomini le riscattano dalle acque e dall’arsura con l'azione solidale, nel lavoro.

Si noti anche come il corto del ferrarese si contrapponga a L’Italia non è un paese povero di Joris Ivens (1960), fortemente voluto da Enrico Mattei.


Se la scrittura poetica per Goliarda Sapienza sarà autobiografica pura, i primi racconti porteranno a un’attenzione verso alcuni vinti verghiani: disadattati, persone psichicamente fragili e folli. Il mondo dell’infanzia sarà presentato, invece, in quindici prose brevi di Destino coatto. In questo senso non è casuale il coevo aiuto di Sapienza a Maselli e Cesare Zavattini in Storia di Caterina, episodio del film collettivo L’amore in città (1953); l’emigrata siciliana Caterina Belgioioso – che Sapienza seguirà durante le riprese, come rilevato anche da Gobbato – è protagonista di una vicenda di abbandono di minore. Ciò testimonia anche il rapporto amicale-lavorativo con Zavattini, che Goliarda proseguirà fino agli anni Ottanta.

Ai margini della scrittura di Sapienza si collocano pratiche di lavoro varie, arricchite da una voracità di conoscenza che si rintraccerà nei romanzi dagli anni Sessanta in poi, in cui partire dal sé sarà anche osservare gli altri. Il sostegno fornitole dall’ambiente intellettuale frequentato negli anni di Positano (Cinquanta e Sessanta) – cui si aggiungono di continuo nuovi volti – è di fondamentale indagine per comprendere come il contesto culturale abbia delineato le possibilità di partecipazione alla cultura che Sapienza ha avuto: numerose e con molti riscontri positivi, ben prima di ufficializzare il mestiere di scrittrice. 

Tutto ciò è indicatore di un’intertestualità che si rivela in movimento, arricchita di spunti e provenienze differenti, in grado di nutrire filologicamente la nascita dell’opera.



[1] A tal proposito si consultino: Emma Gobbato, Goliarda Sapienza sceneggiatrice. Il caso “I delfini” attraverso un carteggio inedito, tesi dottorale discussa presso l’Università degli Studi di Cagliari, tutors L. Cardone e M. Farnetti, A.A. 2015-2016; Maria Rizzarelli, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, Roma, Carocci, 2018.
[2] Cfr. Alessandra Trevisan, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016), Milano, La Vita Felice, 2016, p. 40.
[3] Come già evidenzia Gobbato (p. 46, nota 115) citando una lettera di Sapienza a Maselli datata 1 marzo 1950 (Archivio Sapienza-Pellegrino) nella quale si fa riferimento al documentario Ippodromi all’alba di Blasetti del ’50.
[4] Elvira Seminara, Goliarda Sapienza, in Siciliane. Dizionario biografico, a cura di Marinella Fiume, Siracusa, Emanuele Romeo editore, 2006, pp. 846-848.
[5] Goliarda Sapienza, La mia parte di gioia, Torino, Einaudi, 2013, p. 104. Il taccuino non riporta la data ma risale al 1989, anno della lavorazione de L’alba di Maselli (1990) con protagonista Nastassja Kinski istruita nella dizione da Sapienza.
[6] Al link <https://www.archivioluce.com/>. Può essere utile, in questa sede, indicare il documentario L’arte cosmatesca di Vincenzo Sorelli; girato nel 1941 per l’Istituto Luce porta il soggetto dello storico dell’arte Ercole Maselli, padre di Francesco detto Citto.
[7] Marco Ravera, L’ultimo neorealista. Intervista a Citto Maselli, «La Sinistra Italiana», 9.2.2016, <http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/lultimo-neorealista-intervista-a-citto-maselli/>.
[8] Su questa figura non si hanno notizie certe, tuttavia lo stesso cognome compare nel racconto La domenica di Carlo Emilio Gadda (I racconti, Garzanti, ’65): si tratta di una famiglia di origini nobili del viterbese che partecipò anche al Risorgimento; Giuseppina potrebbe esserne discendente. Si noti che lei è l’unica donna citata nei credits dei documentari di Maselli.
[9] Secondo una lettera del marzo ’51 citata da Gobbato nella sua tesi si riconoscerebbe, in particolare, l’inquadratura del cavalcavia di cui Maselli parla a Sapienza. Secondo l’Archivio Luce, tuttavia, il corto risalirebbe al 1960.
[10] Nel volume di Lino Micciché Gli sbandati di Francesco Maselli: un film generazionale (Torino, Lindau, 1998) proprio Maselli riferisce di non amare il commento di Bassani al corto e racconta delle difficili condizioni economiche in cui versava lo scrittore.
[11] Che l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ha reso disponibile nel 2012: <https://youtu.be/vl2TG0O4UDI>.
[12]  È stato Giacomo Gambetti a raccogliere questa testimonianza nel suo volume Florestano Vancini, Roma, Gremese editore, 2000, pp. 31-32.
[13]  Come attestato nella bibliografia di Una voce intertestuale, cit., e in A. Trevisan, «Recitando si impara a scrivere»: Goliarda Sapienza a teatro, tra biografia e documenti inediti, «Sinestesieonline», Anno XIII, n. 173.
[14]  Secondo la cronologia della biografa Giovanna Providenti ne La porta è aperta (Catania, Villaggio Maori, 2010).
[15]  Dalla trascrizione del testo del documentario di Vancini: <https://goo.gl/925RTB>.