09/03/17

Anthony C. Yu, RELIGION AND LITERATURE IN CHINA

[Laughing Buddha (Singapore 2016). Foto Rb]


Anthony Yu, Religion and Literature in China. Sottotitolo: The ‘Obscure Way’ of Journey to the West, in Comparative Journeys: Essays on Literature and Religion East and West, New York, Columbia University Press, 2009, pp. 158-187


Il volume in cui si inserisce questo capitolo (l’ottavo) ne contiene altri, sempre sul meraviglioso romanzo classico cinese Journey to the West comparato con testi e problematiche occidentali, tra cui la Commedia dantesca (capitolo 7), ed esaminato nelle sue caratteristiche strutturali (capitolo 6) e in relazione al viaggio nella realtà, nel settimo secolo, del monaco buddhista Chen Xuanzang verso l’India, da cui riportò i testi canonici che tradusse in cinese. Il viaggio, nel romanzo di Wu Chengen, si connota di imprese immaginose compiute soprattutto da Scimmiotto, o Sun Wukong, un essere portentoso, un trickster in grado di trasformarsi e la cui esuberanza viene controllata dalla Bodhisattwa Guanyin con l’imposizione di un anello sulla testa. Altri compagni di viaggio di Xuanzang, o, nell’identità fittizia, denominato anche Tripitaka, sono Zhu Bajie, un ex Immortale trasformato in maiale per avere amoreggiato con la Dea della Luna Chang’e, e Sha Wujing, anch’egli un ex Immortale, punito per una colpa commessa con la trasformazione in essere umano. I viaggiatori, incaricati di portare all’Imperatore le scritture Buddhiste dall’India (dall’Ovest) affrontano numerose prove, combattono mostri, s’imbattono in draghi, riescono infine nell’impresa in cento capitoli.

Yu dimostra quanto i motivi religiosi siano cosustanziali alla narrazione. Da un lato riscontra richiami alla magia e all’alchimia taoista nonché ai principi ed elementi del pantheon di tale religione. Il Buddhismo vi compare con forza, naturalmente, e attraverso vari elementi filosofici, in particolare quella che Yu individua come “illusory experience and its chief source for illumination”, utilizzata anche nella costruzione dell’intreccio e della personalità dei personaggi (p. 171).

Yu è a favore di un’interpretazione che tributi peso all’allegoria: “Our understanding of the text demands our taking the allegorical elements seriously” in quanto “the work itself makes constant demands on its readers to heed the many levels of nonliteral meaning structured therein” (p. 178).

Si domanda però fino a che punto la religione, così importante e presente in Journey to the West, sia compatibile “with the biting satire and exuberant humor that enliven virtually every page of the marvelous work” (p. 179). Se da un lato il testo cinese è paragonabile, per il sostrato allegorico, agli occidentali Faerie Queene e The Pilgrim’s Progress, oltre che al viaggio dantesco, dall’altro sta in parallelo con Chaucer, Rabelais e Swift per satira e irriverenza. Yu si domanda: “How could a text of such manifest irreverence be considered in some sense religious?” (p. 180). La risposta è che il riso bandito dalla tradizione biblica e cristiana è ammesso in quella taoista sebbene non nel solenne Confucianesimo, mentre nello Zen può diventare anche un elemento del conseguimento dell’illuminazione.

Ci si potrà comunque domandare se non si tratti, come in tutti i classici, di complessità e di miscellanea, della rielaborazione di parecchie tradizioni, infine della lettura a diversi livelli di consapevolezza culturale e del passaggio attraverso i secoli che ha fatto prevalere questo o quell’aspetto.


[Roberto Bertoni]