[Laughing Buddha (Singapore 2016). Foto Rb]
Anthony Yu, Religion and Literature in China. Sottotitolo:
The ‘Obscure Way’ of Journey to the West, in Comparative Journeys: Essays on
Literature and Religion East and West, New York, Columbia University Press,
2009, pp. 158-187
Il volume in cui si inserisce questo capitolo (l’ottavo) ne
contiene altri, sempre sul meraviglioso romanzo classico cinese Journey to the West comparato con testi
e problematiche occidentali, tra cui la Commedia
dantesca (capitolo 7), ed esaminato nelle sue caratteristiche strutturali
(capitolo 6) e in relazione al viaggio nella realtà, nel settimo secolo, del
monaco buddhista Chen Xuanzang verso l’India, da cui riportò i testi canonici
che tradusse in cinese. Il viaggio, nel romanzo di Wu Chengen, si connota di
imprese immaginose compiute soprattutto da Scimmiotto, o Sun Wukong, un essere
portentoso, un trickster in grado di
trasformarsi e la cui esuberanza viene controllata dalla Bodhisattwa Guanyin
con l’imposizione di un anello sulla testa. Altri compagni di viaggio di
Xuanzang, o, nell’identità fittizia, denominato anche Tripitaka, sono Zhu
Bajie, un ex Immortale trasformato in maiale per avere amoreggiato con la Dea
della Luna Chang’e, e Sha Wujing, anch’egli un ex Immortale, punito per una
colpa commessa con la trasformazione in essere umano. I viaggiatori, incaricati
di portare all’Imperatore le scritture Buddhiste dall’India (dall’Ovest)
affrontano numerose prove, combattono mostri, s’imbattono in draghi, riescono
infine nell’impresa in cento capitoli.
Yu dimostra quanto i motivi religiosi siano cosustanziali
alla narrazione. Da un lato riscontra richiami alla magia e all’alchimia
taoista nonché ai principi ed elementi del pantheon
di tale religione. Il Buddhismo vi compare con forza, naturalmente, e attraverso
vari elementi filosofici, in particolare quella che Yu individua come “illusory
experience and its chief source for illumination”, utilizzata anche nella
costruzione dell’intreccio e della personalità dei personaggi (p. 171).
Yu è a favore di un’interpretazione che tributi peso
all’allegoria: “Our understanding of the text demands our taking the
allegorical elements seriously” in quanto “the work itself makes constant
demands on its readers to heed the many levels of nonliteral meaning structured
therein” (p. 178).
Si domanda però fino a che punto la religione, così
importante e presente in Journey to the
West, sia compatibile “with the biting satire and exuberant humor that
enliven virtually every page of the marvelous work” (p. 179). Se da un lato il testo cinese è paragonabile, per il
sostrato allegorico, agli occidentali Faerie
Queene e The Pilgrim’s Progress,
oltre che al viaggio dantesco, dall’altro sta in parallelo con Chaucer,
Rabelais e Swift per satira e irriverenza. Yu
si domanda: “How could a text of such manifest irreverence be considered in
some sense religious?” (p. 180). La
risposta è che il riso bandito dalla tradizione biblica e cristiana è ammesso
in quella taoista sebbene non nel solenne Confucianesimo, mentre nello Zen può
diventare anche un elemento del conseguimento dell’illuminazione.
Ci si potrà comunque domandare se non si tratti, come in
tutti i classici, di complessità e di miscellanea, della rielaborazione di
parecchie tradizioni, infine della lettura a diversi livelli di consapevolezza
culturale e del passaggio attraverso i secoli che ha fatto prevalere questo o
quell’aspetto.
[Roberto Bertoni]