[Street statuette (Kyoto 2012). Foto Rb]
Shinichirō Sawai, W' Tragedy. Giappone 1984. Con Kōjirō Kusanagi, Yoshiko
Mita, Ken Nishida, Miko Takagi, Hiroko Yakushimaru
Tratto da un romanzo di Shizuko Natsuki, questo film
elegante e sperimentale conta su un’allora quasi esordiente ottima attrice, Hiroko
Yakushimaru, capace di interpretare la vitalità della gioventù come pure le
perplessità dell’infrazione dei codici etici della sincerità e della
correttezza professionale dietro un volto di apparente innocenza e con una
naturalezza propria della vita, e non a caso, da tale punto di vista, fin dalle
prime scene del film viene citato Stanislavskij.
La vita vissuta è inoltre lo specchio della vicenda
rappresentata, in un gioco di rifrazioni tra testo e tema. La troupe che prova le scene di un dramma
sul palcoscenico si trova a ripercorrerne alcuni aspetti con varianti nella
vita reale, o meglio in quella che viene rappresentata come la vita reale nel
film, il che si ripercuote sull’andamento della prima a teatro.
In particolare, la prima attrice della troupe teatrale per evitare lo scandalo
che le deriverebbe dalla morte accidentale di un amante nella propria stanza d’albergo,
persuade la giovane aspirante attrice Shizuka ad addossarsene la
responsabilità, fingendo che il fatto sia successo a lei, assolta dai mass media in funzione proprio della sua
gioventù, e premiata dalla vedette
con l’affidamento della parte di protagonista sottratta a un’altra attrice
giovane.
Parallela corre la vicenda di un ex
attore, che si è ritirato a una vita fuori del palcoscenico proprio per il
rischio di corruzione dei valori interiori che la professione gli comportava.
Innamorato di Shizuka, lei intreccia con lui una storia, ma non accetta la sua
dedizione totale, tesa com’è verso le mete della carriera. Anche se alla fine
si pente di avere ottenuto ciò che voleva con l’inganno, andrà comunque per la
sua strada, lasciandolo, trascinata dalla vocazione al successo.
In parte pirandelliano, dunque, e in parte fondato su una
messa in luce della corsa verso le vette senza risparmiare la crisi della
verità sottoposta alla tensione continua della recitazione, che di per sé è falsa, ma
si presenta come se fosse mimesi veridica del vissuto.
Oltre a ciò, restano impressi gli scenari, i dialoghi, il
timbro delle voci, il movimento della macchina da presa che evidenzia l’umano nei
suoi lati postivi e negativi inquadrando volti, movimenti, mani, occhi,
eccezionalità del melodramma e quotidianità delle abitudini.
[Roberto Bertoni]