05/04/16

Shinichirō Sawai, W’S TRAGEDY



[Street statuette (Kyoto 2012). Foto Rb]


Shinichirō Sawai, W' Tragedy. Giappone 1984. Con Kōjirō Kusanagi, Yoshiko Mita, Ken Nishida, Miko Takagi, Hiroko Yakushimaru


Tratto da un romanzo di Shizuko Natsuki, questo film elegante e sperimentale conta su un’allora quasi esordiente ottima attrice, Hiroko Yakushimaru, capace di interpretare la vitalità della gioventù come pure le perplessità dell’infrazione dei codici etici della sincerità e della correttezza professionale dietro un volto di apparente innocenza e con una naturalezza propria della vita, e non a caso, da tale punto di vista, fin dalle prime scene del film viene citato Stanislavskij.

La vita vissuta è inoltre lo specchio della vicenda rappresentata, in un gioco di rifrazioni tra testo e tema. La troupe che prova le scene di un dramma sul palcoscenico si trova a ripercorrerne alcuni aspetti con varianti nella vita reale, o meglio in quella che viene rappresentata come la vita reale nel film, il che si ripercuote sull’andamento della prima a teatro.

In particolare, la prima attrice della troupe teatrale per evitare lo scandalo che le deriverebbe dalla morte accidentale di un amante nella propria stanza d’albergo, persuade la giovane aspirante attrice Shizuka ad addossarsene la responsabilità, fingendo che il fatto sia successo a lei, assolta dai mass media in funzione proprio della sua gioventù, e premiata dalla vedette con l’affidamento della parte di protagonista sottratta a un’altra attrice giovane.

Parallela corre la vicenda di un ex attore, che si è ritirato a una vita fuori del palcoscenico proprio per il rischio di corruzione dei valori interiori che la professione gli comportava. Innamorato di Shizuka, lei intreccia con lui una storia, ma non accetta la sua dedizione totale, tesa com’è verso le mete della carriera. Anche se alla fine si pente di avere ottenuto ciò che voleva con l’inganno, andrà comunque per la sua strada, lasciandolo, trascinata dalla vocazione al successo.

In parte pirandelliano, dunque, e in parte fondato su una messa in luce della corsa verso le vette senza risparmiare la crisi della verità sottoposta alla tensione continua della recitazione, che di per sé è falsa, ma si presenta come se fosse mimesi veridica del vissuto.

Oltre a ciò, restano impressi gli scenari, i dialoghi, il timbro delle voci, il movimento della macchina da presa che evidenzia l’umano nei suoi lati postivi e negativi inquadrando volti, movimenti, mani, occhi, eccezionalità del melodramma e quotidianità delle abitudini.


[Roberto Bertoni]