15/05/15

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 56-60)



["Fairy stories once upon a time" (Kinsale 2015). Foto Rb]



56.

mi va di piangere col sole nero addosso
lo sgombero opaco di qualsiasi favola
la merenda che ingombra le tasche
da piccoli. la spazzatura degli orti blasfemi
la chiamo origine, genio di pettine per far
felice una donna durante l’età infelice quella
a verdetto di vecchiaia nonostante le poche rughe
e il sorriso smagliante. da poche anfore ho fatto
sorgere una vestale per angelo custode: bufala
di fede.


57.

quale strapiombo canticchia contro il mondo
quale gioco d’ecatombe imbratta questa zattera
in fin di vita questo calesse d’anima
dove trastulla il vento la rondine infinita.
magari in acqua avrò un’appendice panica
cade la luna un anfiteatro di cielo
vorrei l’amore un chiodo di rimborso
per il fato ottuso di sentire noia
Ercole sul tetto da beccare passero.
Ignudo il mio eroe era una farfalla
una zattera da darsena per i cuccioli
dove alloggiano le lune senza astronauta.
E invece è tutto occupato da una sorta di baratro
da una cipresso marino senza equoree vicinanze
piangente la maretta senza le barche.
inchiodami i quaderni sulla cattedra dell’orco
che possa morirne senza rancore
senza i bruciori al petto di quando ero viva.


58.

postilla di fame il tuo sguardo bambino
quando severa l’estasi del sale
non consente di dormire sodo.
le foglie a terra piangono le fate
quella natura infante che le faceva forti
al sole delle rondini benedette.
in una strada di strilli dove chiunque piange
c’è l’accesso votivo dove chiunque chiede
di generare la voglia di morire
teneri nel sonno. veranda della nonna
starti a sentire vetusto cardellino orfano.


59.

sillabario insano l’urlo
del mio riposo impossibile
quando la cerchia delle rondini loquaci
brevetta inquietudini di stille
vite di stallo. si ammacca la stagione
della libertà per un consenso cafone con il sole
e le bieche aureole dell’ombra. tremulo di nebbia
e di sicuro senza stanza questo scienziato
che inventa le cure per essere sicuri addobbi
di natale per la natività di sé. incontro
il giubileo delle pietre insonni questo
cadere infame sotto financo le grotte.
scempio di sale sulla ferita inerme
del secolo nebbioso in transumanza
senza la retta di una ragione buona


60.

Signore Iddio cieco cuore
palese inganno dove il ricordo
getta dolore gaio alle cornacchie
e il paese si rinchiude carcere
di assoluto sguardo. di diletto e di fragranza
credere alle nespole dove lo spoglio della luna
è lo spillo di crescere per morire. in palio sotto
l’abaco del ventre c’è la staffetta della cometa
cadente dove s’impugna il tempo di resistere
brani di vento tagliole crudeli. divento la sillaba
del sale ogni qual volta l’origine del desco
commette eresia e salso credo. versione di
solitudine guardarti senza la verità della sillaba
bacata dall’ardore di morire. sono un caso
d’incombenza atroce perché la nebbia mi percuote
il cielo e la staffetta del tempo sbraita le cellule
maldestre. su di me si stagna la palude
della luce cattiva senza pupille per capire
il mondo o la rondine dolente. in mano al folle
ardire del silenzio c’è la brocca candida di olive
dove spera l’alunno elementare e la tragedia s’acquieta.
dimmi perché non hai badanti di lucciole
né chiome per il fratello innamorato
del mare sconnesso senza pena.


[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]