[That old fashioned, tidy, symmetrical soldier... (Paris 2014). Foto Rb]
Aleksandr Sergeevič Puškin, La figlia del capitano (1836). In Opere, a cura di E. Bazzarelli e G. Spendel. Milano, Mondadori, 2000, pp. 807-945
La scrittura di Puškin, rapida, incisiva, e allo stesso tempo dettagliata e
chiara, conferisce un’aura di modernità a questo romanzo così storicamente immerso
negli eventi del secondo Settecento russo, con la rivolta dei Cosacchi,
capeggiata da Pugačëv, del 1773-1774. Il
leader cosacco si fece passare per Pietro III, fingendo che egli non fosse
deceduto, ma surrettiziamente fosse stato esautorato dalla moglie Caterina II,
che ne era in realtà vedova e regnava sulla Russia, corrispondendo con Voltaire
e ospitando Montesquieu, al contempo rafforzando, con palese contraddizione ideologica, l’assolutismo, elemento, questo che costituì uno
degli aspetti rilevanti della rivolta. Lealista, Puškin scrisse un’interessante
storia di quella ribellione, basata in parte su materiali d’archivio da lui
stesso ricercati e attivati: si tratta di una cronaca accurata e saliente dei
fatti [1].
Invece, nel romanzo La figlia del Capitano, Pugačëv viene
rappresentato come un eroe primitivo e istintuale, autore di efferatezze, capo alla
pari tra i suoi luogotenenti nei consigli di guerra dietro le quinte e sovrano
assoluto come facciata esterna di fronte ai sudditi, abile in guerra, nondimeno
capace di onorare un’amicizia col protagonista russo, Pëtr
Andréevič Grinëv, figlio di buona famiglia, avviato dal padre ex ufficiale alla
carriera militare nella fortezza isolata di Belogorsk, presso Orenborg ( e ci
domandiamo quanto il capitolo III, in cui la fortezza compare per la prima
volta, non abbia influenzato il Buzzati del Deserto
ei Tartari). Nel viaggio verso Oremborg, Pëtr salva la vita a un uomo che
più tardi si rivelerà essere Pugačëv,
il quale per questo lo risparmia. Sebbene Pëtr si trovi più volte nell’entourage di Pugačëv per ragioni onorevoli, dopo la repressione della rivolta viene
accusato di tradimento, in parte per testimonianze della strana amicizia che Pugačëv
nutriva per lui, in parte per le maldicenze e il tradimento del suo rivale Švabrin.
Sarà salvato dall’intercessione della fidanzata, Maša, presso Caterina II, che nel
romanzo svolge dunque un ruolo positivo e umanitario.
Da un lato, dunque, ci si ritrova nell’ambito del
romanzo storico. Dall’altro, sono i rapporti umani a evidenziarsi sullo sfondo
degli eventi sociali, tragici. La rivalità per amore con l’antagonista Švabrin respinto da Maša e le sue azioni
disonorevoli, che nondimeno all’inizio sembrano sortire effetti positivi. L’innocenza
di Maša e la sua sofferenza per la perdita dei genitori trucidati dai cosacchi
e poi per l’arresto ingiusto di Pëtr.
Tra le versioni per lo schermo, e a
testimonianza di un interesse italiano spiccato per questa storia, anche verso il
pubblico dei mass media, oltre ai film di Camerini (1947) e Lattuada (1958) si
ricordano lo sceneggiato televisivo del 1965, per la regia di Leonardo Cortese,
piuttosto fedele al testo originale, e teatrale nella struttura e nella
recitazione, da noi preferito al film di Rai Fiction del 2011 (regia di Giacomo
Campiotti).
[Roberto Bertoni]