26.
[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]
mi va di crollare nel fantasma
ascesi finalmente senza asma
né manuali per restare
nonostante il lutto che spalanca gli occhi.
in fatto di cornucopia ho perso il nome
presso la cantata infernale della fanghiglia.
tu che piangi le aureole ventose
del sacrestano le pulizie sacre
senza morto da celebrare.
con le borchie sulla spada dell’angelo
voglio giocare agli inseguimenti
tanto per farmi amare un po’ di più.
in palio alla materia del contendere
sto giù da tempo senza museruola
né crolli di comete fratellastre.
strazio e cipiglio questa anestesia
non buona al dolore che si ripete
fratello di iena colmo di bestemmia.
mia la manciata degli sterpi
volitivi al massimo della furia
dove si addentra la madre senza figli.
27.
sarà festivo il dì del nome tuo
traguardo di balbuzie nonostante
lo scarto dell’ombra. avrai di dio
l’icona buona la saggia chiave di
chi rompe indugio per flettere la
nebbia oltre steccato. la conca della
culla sarà conclave contro la veglia
dell’ora tragica. beltà del sacro cuore
la tua nomea è vertigine di bosco
dove consola la terra la bestemmia.
la stiva della ruggine fa di sangue
il veto, la rotta ginnica di guardare
il sole per adoperare la vita verso
l’estro di conoscere la lira delle statue.
canestro ingordo l’infimo del bordo
e la giuria che convoca vocali di abbecedario
la filastrocca occlusa alla vendetta.
ammanco di cipressi la tua stalla
viadotto di comete senza magia
nel ristagno del fiotto rantolante.
28.
viuzze di alfabeti starti accanto
simulare l’occaso per un brivido
d’amore. invece è tacito l’embrione
di morire da sotto il glicine
piangente. gerundio di rondine tornare
natività del bandolo il sorriso
se finalmente si eterni la questione
di ridere accartocciati insieme ai fiori.
si erutta sul calvario l’ultimo bacio
cimitero di rendite desertiche
milite ignoto l’occhio di cristallo.
in tasca l’arbitrio del diario
con l’elemosina scaduta della briciola
il sisma in canottiera della sposetta.
miriadi di rantoli guardarti andartene
in mano alle lanterne delle grotte
dove nessuno è visto per vedere.
in tana sull’occaso piange il figlio
con la scarogna enorme della nascita
inflitta per dominio di demonio.
29.
con la palude negli occhi
continua il ludo di perdere la spada
nella conca di mia madre che non è arrivata
partita dall’avamposto del rantolo.
così si sceglie l’osteria del sorso
verso la gita di perdere la veglia
e il germoglio di orecchini regi.
gironzola così l’attore di cometa
quando lo sforzo è fatuo di piantagioni
ginestre di pavoni i giardini infantili
nell’aprile la quercia si fa vestale
di strani strali verso le rovine del tetro
malessere sonnambulo di grido.
al fuoco delle rondini che scappano
la malia del demonio se la ride
con l’attaccapanni impicca i poveretti.
sull’orlo della frusta ho stimato il cuore
neastro come il panico del sale
stato nella cenere per sbaglio.
30.
così si muore nel dialogo del sale
il borgo chino della bocca secca
quando felice come addobbo il gobbo
passeggia nei viottoli più ciechi.
tranquilla nella morte la madre
ha il volto diafano del consiglio
la nulla fame del singhiozzo ucciso.
incontra insieme a me la stanza vuota
il lavorio di sembrare vivi
nonostante la voglia di morire.
così è mortale la spianata d’ascia
quando l’alunna non sa la lezione
né uno scivolo appena per scappare.
in curva alla minaccia dello strapotere
resta la culla unica del fiato.
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