["An inner dialogue... So many contrasting voices... In a landscape-stage..." (Blessington 2014). Foto Rb]
Frutto di anni di ricerche e
pubblicazioni, questo saggio si propone di mettere a fuoco, da un lato il rapporto
in generale tra teatro e narrativa dall’angolazione di quest’ultima; e dall’altro
di proporre una reinterpretazione dei tre autori esaminati in dettaglio
partendo da considerazioni sull’apporto teatrale a loro romanzi e racconti.
Tra i presupposti teorici,
si qualificano con evidenza particolare Szondi, Brecht e Contini. L’influsso di
Brecht è soprattutto in relazione al realismo; quello di Contini al
plurilinguismo; quello di Szondi per il concetto di “io epico” che penetra nl
teatro una volta entrata in crisi la dimensione interpersonale autosufficiente.
Altro elemento teorico particolarmente significativo è il riferimento al teatro
“intransitivo” (p. 14) di Pirandello.
L’autrice si domanda “se
esiste un’invariante che ci consenta di misurare la teatralità di un oggetto
narrativo” e la trova in primo luogo nel “dialogo” (p. 19), inteso come una
manifestazione del realismo. Assieme al plurilinguismo, il dialogo, e più in
ampio l’intero influsso teatrale contribuiscono alla creazione di un “realismo
teatrale” che, negli autori studiati, “si propone come una categoria
ermeneutica nuova per ripensare il genere del romanzo ‘italiano’ realista” (p.
27), andando oltre impostazioni statiche e sondando nuove possibilità dinamiche
dei testi.
Il percorso di ciascuno
degli autori è ricostruito in primo luogo tracciando il loro rapporto col
teatro; quindi individuando elementi di intertestualità con autori di teatro;
infine costituendo parametri teorici e interpretativi.
Tra le tante considerazioni
di Ferrara, qui solo qualche aspetto in specifica sintonia con la mentalità del
recensore.
Nel caso di Vittorini, oltre
al rapporto di questo scrittore con Wilder, viene messa in rilievo, soprattutto
in Conversazione in Sicilia, una
fascia shakespeariana, funzionante sia a livello di intertestualità che come
elemento ideologico, chiave interpretativa “in funzione antiborghese” (p. 72) e
“antifascista” (p. 78) e tensione vittoriniana verso una nuova forma
teatral-narrativa capace di rivolgersi alle classi popolari.
Riguardo Pasolini, oltre a
evidenziare il plurilinguismo di origine eminentemente continiana, vengono
asserite le origini teatrali, originalmente, nel periodo friulano, predecessore
del discorso indiretto libero del periodo romano. Viene messo inoltre in
evidenza l’autobiografismo, che nella sua connotazione di teatralità è una
forma di rappresentazione e autorappresentazione della “diversità” proclamata
da Pasolini, sia in termini politici rispetto all’establishment, sia in termini di genere, sia infine rispetto alla
dinamica tra autenticità e inautenticità.
Per Calvino, ancora una
volta viene evidenziata la presenza teatrale nelle opere giovanili (i “dodici
drammi” scritti tra il 1941 e il 1943, p. 156), dismesse per ragioni in parte
politiche (appartenevano all’era fascista). Ferrara propone poi una propria
risoluzione del rapporto tra realismo e fantastico in Calvino, vedendo “la
genesi della poetica del comico” nei precedenti teatrali, e il taglio realista
di tipo straniante nella teatralità brechtiana (p. 160).
Emerge da questo saggio la “complessità”
(p. 188) del realismo e delle scritture analizzate in genere. Si tratta di un
lavoro critico che rilancia la letterarietà del testo oltre all’analisi
puntuale teorica e pratica in tempi in cui la critica letteraria pare invece
essersi diluita in un eclettismo non sempre produttivo. Quello di Ferrara è un
discorso costruttivo e articolato per rivelare nuove dimensioni.
[Roberto Bertoni]