["That architectural quotation from another country, a previous era..." (Blessington 2014). Foto Rb]
AA. VV., Cosmopolitanism. Titolo completo: Routledge Book of Cosmopolitanism Studies, ed. G. Delanty, London, Routledge, 2012
Il curatore del volume scrive nell’Introduzione: “In the broader sense possible, cosmopolitanism is about the extension of the moral and political horizons of people, societies, organizations and institutions. It implies an attitude of openness as opposed to closure” (p. 2).
In un’epoca di
globalizzazione, il cosmopolitismo, un concetto di derivazione greca del periodo
classico, rappresenta, ci pare, un correttivo utile tanto alle ideologie del
liberismo selvaggio, antagonista delle realtà nazionali per lo sfruttamento
delle risorse e l’uso della forza lavoro a basso costo, quanto dell’idea di
rivendicazione nazionalista e localistica acritica. Che il mondo sia un’unica
realtà, a vari livelli e con diversificazioni locali, è a nostro avviso un’ovvietà
che non va trascurata. Eclettismo, interazione di culture, cosmopolitismo sono
ideologie utili a una prassi reattiva nella positività, che tenga conto del mutamento
planetario in parte avvenuto e in parte in corso.
Ha pertanto
ragione Delanty a sostenere che “the revival of cosmopolitanism today has much
to do with the tremendous changes that occurred in the 1990s in the aftermath
of the end of Communism in USSR and central and eastern Europe. In this period,
which also saw the end of apartheid, the Tiananmen Square movement […],
cosmopolitanism […] has wide appeal as framework of interpretation” (p. 3),
oltre al cambiamento culturale dovuto all’internazionalizzazione delle
comunicazioni.
Opponendosi tanto alle
teorie di una totale, odierna omogeneizzazione delle culture, quanto a quelle
della loro diversità inconciliabile, il cosmopolitismo “is not a condition of hybridization,
but one of the creative interaction of cultures and the exploration of shared
worlds” (p. 6).
[Roberto Bertoni]