Mnamon.it, 2013
Nel
1997 Claudia Peres era stata inviata da una rivista di viaggi a fare un
reportage su una piccola isola del Mediterraneo. In quel periodo e anche
successivamente viveva a Londra e, per lavoro e per piacere, aveva girato molto
visitando isole nel nord dell’Europa, Norvegia, Scozia, Australia, Nuova
Zelanda e parecchio nel Mediterraneo, soprattutto in Grecia: isole grandissime,
veri continenti, e isole piccole e piccolissime. Insomma aveva una grande
attrazione per le isole, ne era diventata una collezionista, ma non aveva
ancora trovato la sua isola. Poi è arrivata a Carloforte e allora la storia ha
preso un’altra piega. In realtà non era la prima volta che vedeva l’isola
piccola di un’isola più grande del Mediterraneo, come la chiama nel suo libro.
Arrivando a San Pietro ha infatti scoperto che era questa l’isola da cui
dipendeva il “mal di scoglio”. E allora si è resa conto quest’isola da sempre è
stata presente in lei come nostalgia, richiamo, presenza lontana.
C’è
un’espressione che ricorre nel libro, “Ursinamente mi presto”, e ce ne sono tante
altre, “perché c’è un limite anche per noi orsi”, e così via, frasi che si
imprimono nella memoria e che verrebbe voglia di fare nostre perché in qualche modo
ci riguardano, anche se il protagonista del libro non è un umano, ma è un orso,
anzi Orso con la o maiuscola.
Proprio
all’inizio, in pagine a mio parere molto belle, gli orsi sono presentati mentre
sfilano nella Città di Mezzo in processione, mentre compiono un rito con una
particolare liturgia che è nello stesso tempo anche una grande scena teatrale, dando
inizio al gioco che incontriamo nel corso di tutto il libro: basta poco,
spostando appena la prospettiva, le cose cambiano, ciò che è serio diventa
“ursinamente” divertente, non solo perché per condire la narrazione Claudia si
serve di una buona dose di umorismo.
Il
rumore che gli unghioni dei plantigradi fanno camminando sull’acciottolato della
Città di Mezzo sembrerebbe riportarci a una elementarità che abbiamo
dimenticato, è invece uno dei tanti segnali di una vita vissuta all’insegna
della multiformità e soprattutto della diversità. La si ritrova inseguendo la
varietà dei sapori delle complicate ricette concepite da un altro protagonista del
libro, l’orso Sconvolto: cozze al sapor di liquirizia, cannella profusa a
volontà. Altre esperienze sensoriali rivelano quanto articolati e vivi siano i
mondi in cui gli orsi camminano, si muovono, alcune volte sollevandosi in
levitazione. Canti, canzoni, stoffe, colori, odori, musiche, icone riempiono le
case color pastello dall’ariosa architettura dell’isola, i balconi, le terrazze
percorsi dal vento di mare, senza dimenticare i racconti nati tra quei vicoli e
tramandati di bocca in bocca in quella straordinaria regione della terra che si
chiama Mediterraneo.
La
leggerezza, uno dei valori che Italo Calvino aveva proposto per il nuovo millennio,
e che anche l’autrice fa completamente suo ponendosi sulla scia dei suoi orsi,
è sempre accompagnata dal libero arbitrio e dalla responsabilità individuale. Un’altra
espressione utilizzata nel corso del racconto, “uso di mondi”, sottolinea che
la vita è anche fatta di scelte, di capacità di vedere oltre, di andare oltre i
confini di ciò che conosciamo per scoprire altre dimensioni che allargano
l’orizzonte, aprono la mente, il cuore e permettono all’anima di alzarsi in
volo alla ricerca della felicità che è soprattutto felicità per gli altri. Il groviglio felice che deve essere difeso dal
caos. Non c’è infatti solo una continua estate, dietro la bella stagione è in
agguato l’inverno, il gelo, il freddo, la mancanza di luce dell’inverno. Anche qui gli orsi danno un grande
insegnamento agli umani: la necessità del letargo per difendere la mente dal
caos, da una condizione di disagio che si potrebbe diagnosticare come
depressione, ma che invece prepara la nuova stagione che deve arrivare.
Un
analista junghiano di Lugano, Daniele Ribola, ha scritto un libro sul simbolo
dell’orso [1], ripercorrendone
tutta la ricchezza di significati. Sugli orsi gli uomini nei millenni hanno
proiettato la loro ferocia al punto da arrivare quasi all’estinzione; l’orsa è
sentita molto vicina dagli esseri umani per il suo amore materno. In generale
l’orso viene vissuto come molto vicino all’uomo per la capacità di sollevarsi
sulle zampe, per la golosità quando va a cercare il miele, e anche per gesti
buffi che compie, come grattarsi la schiena contro gli alberi strusciandosi in
un modo molto liberatorio.
Ma c’è anche una vasta letteratura
sugli orsi, soprattutto tanti romanzi in
cui i protagonisti sono proprio gli orsi, a partire da La famosa invasione degli orsi in Sicilia scritto e illustrato da Dino Buzzati nel 1945,
che mostrano parecchie affinità e
somiglianze con il libro di Claudia Peres. Mettendo a confronto, come fanno tanti
altri autori, mondo ursino e mondo umano, e facendo vedere quali sorprendenti
aperture e punti di fuga ci si spalanchino di fronte, anche Claudia mostra “ursinamente”
punti di vista inaspettati su mondi molto vicini.
[Rossana
Dedola]