31/10/14

CARTE ALLINEATE. Seconda serie, numero 28, Ottobre 2014 / Second series, issue 28, October 2014

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INDICE ALFABETICO / INDEX

Le voci elencate qui sotto senza il nome dell'autore sono state scritte, e le foto sono state scattate, da Roberto Bertoni. / Entries listed below without the name of the author were written, and pictures were taken, by Roberto Bertoni.

- AA. VV., COSMOPOLITANISM. Note di lettura, 1-10-2014. 
- BROWN, Adriana, L'AMORE ASSENTE. Note di lettura, 9-10-2014.
- CIPOLLA, Luca, UNA POESIA BILINGUE. Testo, 11-10-2014.
- GORKI, Massimo, LA MADRE. Note di lettura, 17-10-2014.
- ORTESE, Anna Maria, L'IGUANA. Note di lettura, 5-10-2014.
- PERES, Claudia, URSINAMENTE. Note di lettura di Rossana DEDOLA, 23-10-2014.
- PIZZI, Marina, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 21-15). Testo, 27-10-2014.
- REN, Peng, THE DESTINY. Storie di film, 15-10-2014.
- SAID, Edward, REPRESENTATIONS OF THE INTELLECTUALS. Note di lettura, 7-10-2014. 
- TUCCI, Giuseppe, TIBET. Note di lettura, 3-10-2014
- ZHANG, Xin, AVALOKITESVARA. Storie di film, 19-10-2014.

27/10/14

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 21-25)



[Autumn Leaves (Dublin 2014). Foto Rb]


21.

scansione di autunno le foglie
che vegliano l’amore restio
sul greto della voglia di morire
incudine e martello un solo trespolo
per allontanare la furia della luce
e l’ìndice a cimelio della scorta
d’ombra. bravura già sarà non aver
malore né languore di tirannide la
trottola incapace di pietà. tu dammi
un angolo di cipresso una leccornìa
per la vergogna di esistere e la stazione
dentro l’occhio pavido di dadi da lanciare.
me includi l’arena della giacca per un gioco
di cristalli con le domeniche fangose
sotto guanciali nebbiosi, tragici.
il grappolo di mimosa è fregato
dal fischio del vento senza avvento
nel chiodo dell’orecchio saturnino
nomea di sé giammai l’armistizio.


22.

dio del pensiero storpio
abbuia già.
qui sulla mensola del fatto
si registra l’asola di piangere
la strada nulla dell’apostolo
generico.
non tradurre le ceneri del silenzio
tra le novene azzurre delle povertà
le crisi del vero sotto tramontana.
invano si palesa l’ermo della stirpe
l’inverno canuto del postremo
indizio. vicende di trascorsi
non credere al vieto annuncio
dell’angelicato stato. il cencio
della morte porta via laconico
l’albore vate del gerundio nuovo.


23.

al cospetto del cipresso voglio andarmene
alunna senza la cornucopia della gioia
in mano alla stazione della veglia
dove galleggia la fioca giostra della strada
e si danneggia l’agave bonaria
e l’aloe patteggia la dimora.
invano le frescure della notte
ingannano il talismano reso cieco
dalle asme vigliacche delle ciotole.
le cure vandaliche del cosmo
disperano le rotte del fantasma
le migliorie del falso per i mozzi.
in terra d’ascia le fanciulle estreme
dimostrano che l’inguine è la forza
abbreviata del cielo. imposta l’ombra
all’acuir del bavero il vento si troneggia.
il compleanno del frutto è sotto
stasi d’edera. nulla si accredita
alla faccia dell’ambulante. qui si muore
in palio di giocata dove la rotta spande
secoli di secoli e la mania esercita
vendetta. il panico già liso della fronte
intonaca la curva della morte.


24.

la pietà di un antro è quando giungi in ritardo
e sgretoli la messa in un sudario
antiquato come un bambino morto.
indugio e catrame il tuo sguardo rantola
dalla trottola dell’alba fino a notte fonda
e la ginestra grida il tuo dolore.
in fase di randagio il tuo rispetto
non trova pietà. all’interno del fato
la rondine stramazza. qui si coltiva
l’imbroglio per il pianto inutile di scarto.
indagine e premura non supportano
la rotta né il fieno per gli innamorati.
è una crosta d’anima che sanguina
vicino all’angelo custode così impotente.
in tutto lo scempio di subire si spegne
la patria di darsene darsena. muore l’aurora
che segna il verso e la paura è la forsennata
strage sul genio del bambino. l’area pedonale
della stirpe non sopporta famiglia. il diavolo
della discesa è ripida falena. il gaudio della iena
è in fase di strappo di morso letale.


25.

più vicina si scontenta la nebbia
erbaccia del cielo piena di denti
per impaurire la cialda della rupe
appena in tempo per cadere.
s’infrange il bozzolo del sole
bestemmiando lo zotico carbone
che lo attende amico inutile di fede.
invano lo scarabeo della mondezza
trafuga pallottole di pane
tanto la fuga lo schiaccerà al passo.
immensa la fortuna della ganga ridanciana
dove si avverte l’Ercole di giungere
chissà dov’e la mania del bello.
in ernia di ciabatta voglio correre
con la graziosa epidemia di piangere
sempre e perché con il motivo vecchio.
ingiungo a te di chiamarmi astrale
cometa elemosiniera, canestro chiuso
alla palla. anzi avverti i miei che sono
morta nonostante la criniera del gallo.



[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]

23/10/14

Claudia Peres, URSINAMENTE



Mnamon.it, 2013

Nel 1997 Claudia Peres era stata inviata da una rivista di viaggi a fare un reportage su una piccola isola del Mediterraneo. In quel periodo e anche successivamente viveva a Londra e, per lavoro e per piacere, aveva girato molto visitando isole nel nord dell’Europa, Norvegia, Scozia, Australia, Nuova Zelanda e parecchio nel Mediterraneo, soprattutto in Grecia: isole grandissime, veri continenti, e isole piccole e piccolissime. Insomma aveva una grande attrazione per le isole, ne era diventata una collezionista, ma non aveva ancora trovato la sua isola. Poi è arrivata a Carloforte e allora la storia ha preso un’altra piega. In realtà non era la prima volta che vedeva l’isola piccola di un’isola più grande del Mediterraneo, come la chiama nel suo libro. Arrivando a San Pietro ha infatti scoperto che era questa l’isola da cui dipendeva il “mal di scoglio”. E allora si è resa conto quest’isola da sempre è stata presente in lei come nostalgia, richiamo, presenza lontana.

C’è un’espressione che ricorre nel libro, “Ursinamente mi presto”, e ce ne sono tante altre, “perché c’è un limite anche per noi orsi”, e così via, frasi che si imprimono nella memoria e che verrebbe voglia di fare nostre perché in qualche modo ci riguardano, anche se il protagonista del libro non è un umano, ma è un orso, anzi Orso con la o maiuscola.

Proprio all’inizio, in pagine a mio parere molto belle, gli orsi sono presentati mentre sfilano nella Città di Mezzo in processione, mentre compiono un rito con una particolare liturgia che è nello stesso tempo anche una grande scena teatrale, dando inizio al gioco che incontriamo nel corso di tutto il libro: basta poco, spostando appena la prospettiva, le cose cambiano, ciò che è serio diventa “ursinamente” divertente, non solo perché per condire la narrazione Claudia si serve di una buona dose di umorismo.

Il rumore che gli unghioni dei plantigradi fanno camminando sull’acciottolato della Città di Mezzo sembrerebbe riportarci a una elementarità che abbiamo dimenticato, è invece uno dei tanti segnali di una vita vissuta all’insegna della multiformità e soprattutto della diversità. La si ritrova inseguendo la varietà dei sapori delle complicate   ricette concepite da un altro protagonista del libro, l’orso Sconvolto: cozze al sapor di liquirizia, cannella profusa a volontà. Altre esperienze sensoriali rivelano quanto articolati e vivi siano i mondi in cui gli orsi camminano, si muovono, alcune volte sollevandosi in levitazione. Canti, canzoni, stoffe, colori, odori, musiche, icone riempiono le case color pastello dall’ariosa architettura dell’isola, i balconi, le terrazze percorsi dal vento di mare, senza dimenticare i racconti nati tra quei vicoli e tramandati di bocca in bocca in quella straordinaria regione della terra che si chiama Mediterraneo.

La leggerezza, uno dei valori che Italo Calvino aveva proposto per il nuovo millennio, e che anche l’autrice fa completamente suo ponendosi sulla scia dei suoi orsi, è sempre accompagnata dal libero arbitrio e dalla responsabilità individuale. Un’altra espressione utilizzata nel corso del racconto, “uso di mondi”, sottolinea che la vita è anche fatta di scelte, di capacità di vedere oltre, di andare oltre i confini di ciò che conosciamo per scoprire altre dimensioni che allargano l’orizzonte, aprono la mente, il cuore e permettono all’anima di alzarsi in volo alla ricerca della felicità che è soprattutto felicità per gli altri.  Il groviglio felice che deve essere difeso dal caos. Non c’è infatti solo una continua estate, dietro la bella stagione è in agguato l’inverno, il gelo, il freddo, la mancanza di luce dell’inverno.  Anche qui gli orsi danno un grande insegnamento agli umani: la necessità del letargo per difendere la mente dal caos, da una condizione di disagio che si potrebbe diagnosticare come depressione, ma che invece prepara la nuova stagione che deve arrivare.

Un analista junghiano di Lugano, Daniele Ribola, ha scritto un libro sul simbolo dell’orso [1], ripercorrendone tutta la ricchezza di significati. Sugli orsi gli uomini nei millenni hanno proiettato la loro ferocia al punto da arrivare quasi all’estinzione; l’orsa è sentita molto vicina dagli esseri umani per il suo amore materno. In generale l’orso viene vissuto come molto vicino all’uomo per la capacità di sollevarsi sulle zampe, per la golosità quando va a cercare il miele, e anche per gesti buffi che compie, come grattarsi la schiena contro gli alberi strusciandosi in un modo molto liberatorio.

Ma c’è anche una vasta letteratura sugli orsi, soprattutto tanti romanzi  in cui i protagonisti sono proprio gli orsi, a partire da La famosa invasione degli orsi in Sicilia scritto e illustrato da Dino Buzzati nel 1945, che mostrano parecchie affinità  e somiglianze con il libro di Claudia Peres. Mettendo a confronto, come fanno tanti altri autori, mondo ursino e mondo umano, e facendo vedere quali sorprendenti aperture e punti di fuga ci si spalanchino di fronte, anche Claudia mostra “ursinamente” punti di vista inaspettati su mondi molto vicini.


[Rossana Dedola]










[1] L’orso e i suoi simboli, Magi, Roma 2013.