Prima
edizione 1930. Sottotitolo: The saga of a Chinese family. (Citazioni dall’edizione
Kindle)
È il primo romanzo di Buck; e si concentra su uno
strato sociale benestante, una famiglia abbiente da parecchie generazioni e
immersa nella tradizione tra ruoli definiti nel rapporto tra capofamiglia e
moglie, presenza delle concubine, subalternità femminile, ma al contempo
conflitto generazionale nella nuova Cina in formazione, con un figlio che
respinge il matrimonio combinato e torna dagli studi universitari negli Stati
Uniti con una moglie americana e con le difficoltà a farla accettare dalla
famiglia.
Il rapporto tra Oriente e Occidente è problematico
e difficile in questo romanzo. Gli occidentali sono visto come barbari incolti
ed esteticamente poco interessanti dalle vecchie generazioni; mentre la scienza
occidentale è apprezzata dai giovani; e la transizione tra tradizione e modernizzazione
è onnipresente.
Il relativismo culturale è uno degli aspetti
chiave del libro. Tramite la voce in prima persona della lettera, che è questo
romanzo, scritta alla “sorella” (forse un’amica definita come “sorella”) da Kwei-lan,
una giovane appartenente alla famiglia di cui sopra, viene individuata in parte
una tendenza alla modernizzazione del marito di lei, che le chiede di sfasciarsi
i piedi; respinge la condivisione degli appartamenti della casa avita e conduce
il nucleo familiare a vivere in un appartamento in città; prende le distanze
dalle superstizioni; si rapporta alla moglie in termini non di sottomissione
della stessa, ma di amicizia egualitaria. In parte, e questo ci pare intelligente
motivo di interesse, tali atteggiamenti provocano nella ragazza una crisi di
identità, rappresentata, istruttivamente per noi occidentali, come iniziale rigetto
determinato da un riscontro di stranezze e irrazionalità dei comportamenti euroamericani
(come possono piacere i piedi grossi? Come fanno a salire e scendere
continuamente dalle scale interne delle case? Come sono stopposi i loro capelli
gialli e bruttine le loro donne; com’è sgraziato il loro modo di parlare; e
così via). Ciò nonostante la giovane sposa agisce con un’obbedienza alle
richieste di modernizzazione del marito, mutuata dall’educazione familiare
ricevuta, di stampo antico. Poco per volta, Kwei-lan assume un’identità
complessificata da elementi occidentali, pur senza rompere con la propria
identità cinese, cercando anzi di tenere intessuti, con sapienza femminile, i
fili di collegamento con la famiglia di origine e con quella dello sposo. Una
soluzione del conflitto, dunque, meno radicale e più equilibrata di quella del
fratello, che rompe con la tradizione rifiutando il matrimonio combinato invece
di riformarlo dall’interno come fanno Kwei-lan e suo marito, e sposando una
giovane occidentale, col che si causa una crisi più profonda in chi gli sta
attorno.
Si oppone alla rapidità della modernizzazione il
millenarismo, destinato però, sotto l’incalzare della trasformazione sociale, a
non diventare altro che una profonda nostalgia:
“[…] for five hundred years my revered ancestors
have lived in this age old city in the Middle Kingdom. Not one of the august
ones was modern; nor did he have a desire to change himself. They all lived in
quietness and dignity, confident of their rectitude. Thus did my parents rear
me in all the honoured traditions. I never dreamed I could be different”.
Il contrasto culturale, nelle sue opposte
motivazioni, è espresso con chiarezza; e l’auspicio è una migliore
comunicazione interculturale a livello paritario, al di là del pregiudizio sia
degli uni che degli altri:
“‘[…] I thought they [gli occidentali] came over
here to our country to learn civilization. My mother said so’.
‘She was mistaken. In fact I believe they come over
here thinking to teach us civilization. They have a great deal to learn from
us, it is true, but they don’t know it any more than you realize what we have
to learn from them’”.
[Roberto
Bertoni]