Villafranca
di Verona, Estremo Oriente, 1929
Abbiamo ritrovato questo libro un po’ ingiallito
tra gli incunaboli (per così dire) di
una libreria smontata e ricomposta in altra sede. Spiace non aver saputo
ancora scoprire notizie precise sugli autori, o meglio sull’autrice giapponese (Myu)
e sul traduttore italiano (Balbi): così quanto definisce la prima di copertina.
Il linguaggio utilizzato in italiano è carico e un
che d’appendice, pur a una lettura distanziata nel tempo e storicizzata.
Il materiale narrativo è quello di una storia
pietosa e triste.
La protagonista viene avviata, a causa di ristrettezze familiari, e
di una fuga da casa del padre, a una comunità di geishe. Per cultura e abilità canore
e nel comporre versi, la ragazza eccelle, respingendo al contempo intrepidamente i tentativi di vari
ricchi di attentare alla sua verginità.
Quando potrebbe redimersi, richiamata a casa dalla
sorella minore che sta per contrarre matrimonio con un giovane che la ama ed è
possidente, scopre, osservando da lontano, che questi è proprio il ragazzo di
cui lei stessa, in un fuggevole incontro tra due treni, si era innamorata.
Scherzi del destino, che si ritrovano in effetti
anche in storie moderne della narrativa dell’Asia nordorientale. La
protagonista decide di recarsi in convento, facendosi monaca, con una atto di
altruismo verso la felicità della sorella.
Questo tipo di intreccio, che una volta ci pareva
tanto palesamente sentimentale, ci colpisce oggi per l'esemplarità e
l'idealizzazione della virtù, o meglio delle virtù positive, che non guastano in
questo secolo di machiavellismo sempre più meccanico e dilatato.
C’è qualche poesia degna di nota, nel volume. Per
esempio (a p. 57):
“O campi di azalee
corsi da libellule
di seta e di argento,
come variate al colore del sole,
come tremate al vento!
Ma se fiorisse la luna,
quale colore avreste?
E se cadesse la piova…
come tremereste?”
[Roberto Bertoni]