Giappone
2003. Testo di Takeshi Kitano. Fotografia di Katsumi Yanagishima. Con Kyoko Fukada, Miho Kanno, Chieko Matsubara, Tatsuya
Mihashi, Hidetoshi Nishijima
Si intrecciano tre storie di amore perduto e non
ritrovato. Un giovane sta per sposarsi per convenienza, quando, il giorno del
matrimonio, viene a sapere che la fidanzata ha tentato il suicidio e,
sopravvissuta, ha perso le facoltà della parola e della memoria; sentendosi in
colpa il promesso sposo abbandona il matrimonio e si occupa dell’ex fidanzata,
ripercorrendo a ritroso il percorso dei loro ricordi, fino al luogo montano in
cui si erano promessi in matrimonio, dove muoiono precipitando, forse suicidi,
da un precipizio. Frattanto si è dipanata, con incastri abili strutturalmente,
la storia di un malvivente di successo, la cui fidanzata di tanti anni prima
continua ad aspettarlo ogni giorno sulla panchina su cui si erano separati da
giovani: pare ci possa essere un lieto fine, stroncato però dalla morte
violenta, per vendetta di un suo complice, del malvivente. Nella terza storia
il fan di una pop-star si acceca per complicità nei suoi confronti, dato che in
un incidente è rimasta lesa all’occhio, commuovendo la ragazza, che trascorre
con lui un pomeriggio: potrebbe nascerne una storia se l’innamorato non
morisse, vittima della sua cecità, in un incidente stradale.
Tre amori impossibili in situazioni spinte
all’estremo, paradossali al punto da risultare piuttosto allegoriche della
dedizione assoluta che realisticamente rappresentanti la realtà vissuta.
La chiave di questa estremizzazione dei fatti è
forse il riferimento costante al teatro delle marionette bunraku, mosse a mano e collegate al teatro kabuki. Le marionette appaiono come tali all’inizio del film. Alla
fine i due giovani della prima storia muoiono indossando costumi trovati su un
filo di vesti stese all’aperto davanti a una casa: costumi kabuki. Il loro suicidio potrebbe far parte, del resto, di una
“favola antica”, per dirla alla Leopardi. Quindi il rilancio del valore
dell’amore altruista fino all’eccesso del suicidio, della mutilazione e della
morte per omicidio o per incidente, mentre risulta efferato se riferito a un
protocollo estetico realista contemporaneo, ha una credibilità se rapportato
alla favolistica tradizionale. Il film è un ponte tra questi due aspetti.
La lentezza caratterizza l’andamento narrativo.
L’intensità e il silenzio più della parola segnano la recitazione. Il colore, il
paesaggio, i dettagli imprevisti sono propri dell’ottima fotografia.
[Roberto Bertoni]