13/07/14

Im Kwon Taek, CHUNHYANG

Corea, 2000. Titolo originale: 춘향뎐 (Chunhyangdyeon), ovvero Storia di Chunyang. Con Jo Seung Woo e Lee Hyo Jeong.

Un film di ricostruzione storica e culturale e di metalinguaggio, scorrevole ed esteticamente gratificante, notevole infine per i contenuti e i valori espressi, come del resto accade spesso nei film di Im Kwon Taek [1], che puntano sul passato, rivisitando con toni lirici e allo stesso tempo con uno sguardo nitido e volto a cogliere il significato per il presente.

In questo caso, il metalinguaggio consiste nell’alternanza tra la rappresentazione teatrale del pansori (o cantata per tamburo e voce solista), che è tradizionalmente la maniera in cui viene ascoltata la Storia di Chunhyang, e in varie scene del film si svolge in una sala con partecipazione emotiva del pubblico, conservando il linguaggio metaforico, da un lato, e, dall’altro, si assiste alla rappresentazione filmica vera e propria, che anima visivamente le scene con o senza la voce del cantore nel sottofondo. 

Si potrebbe anche sovrimporre un ulteriore metalinguaggio, che è quello del teatro: il teatro coreano, qui sotto guisa di pansori, e il teatro occidentale, in cui le scene si sviluppano secondo sequenze viste e non puramente in quanto canto di una storia narrata. 

A sua volta la teatralizzazione di tipo scenico si trasforma in interni ed esterni propri del cinema. Colpiscono l’accuratezza dei dettagli del periodo storico, la sontuosità dei colori, la precisione dei comportamenti, per cui è come entrare in un mondo del passato e riviverlo.

Colpisce la delicatezza con cui vengono rappresentati i sentimenti.

Colpiscono il senso di un torto subito e la sua riparazione, detti con tono di fiaba, nondimeno riconducenti a una problematica sociale, quella della giustizia, che è sempre contemporanea.

La storia di Chunhyang è semplice ed esemplare. La ragazza Chunhyang, figlia di una cortigiana, e per questo esposta a pregiudizi di casta, sposa di nascosto, col consenso della madre, Mong Nyong, figlio di un nobile, il quale è costretto poco dopo a recarsi a Seoul, dove resterà tre anni per preparare l’esame da magistrato. Nel frattempo, il governatore della provincia in cui vive la fanciulla cerca di sedurla, profittando della propria autorità e dello status sociale di lei, ma Chunhyang si oppone con pervicacia, invocando la fedeltà coniugale. Quando Mong Nyong ritorna, tramite stratagemmi, incaricato dal re di punire il governatore, riesce infine a smascherare il rivale privo di scrupoli e si va al lieto fine.

Si premiano l’amore, la fedeltà coniugale, la giustizia. Il sostrato confuciano, a nostro avviso, non viene qui rappresentato con schemi di difesa della società patriarcale, bensì di protezione della sincerità degli affetti e della lealtà. Concetti che non ci pare errato ribadire nella tarda modernità, che si manifesta liquida al punto da confondere ogni modalità di solidità psicologica e sociale.


[Roberto Bertoni]


[1] Tra quelli recensiti su Carte allineate cfr. Hanjia e Chi Hwa Son. Tra le recensioni online di Chunhyang, si distingue, per sobrietà e chiarezza, quella di M.E. Connor.