[Sugnamsa. (Corea 2013). Foto Rb]
Daniel Keown, Buddhist Ethics. Oxford University Press, 2005
Una parte del volume è dedicata a una tipologia
dell’etica in generale per promuovere un’ottica comparativa tra Occidente e
Oriente. In Occidente, Keown individua tre ramificazioni: etica descrittiva,
normativa e metaetica. Nell’ambito normativo, l’imperativo categorico kantiano
è un aspetto (consistente nella razionalità dell’azione morale, da cui i
precetti sociali). Altre e divergenti interpretazioni sono l’utilitarismo di
Benthan e Stuart Mill. Centrale nella discussione dell’etica occidentale è il
concetto di virtù, fin da Aristotele, con l’idea del divenire persone dotate di
virtù tramite comportamenti appropriati.
Nel caso del Buddhismo, si notano una prevalenza di
etica della virtù, la compresenza di un aspetto individuale e altruistico
(azioni etiche per migliorare se stessi e gli altri), una nozione dei valori
accompagnata da elementi relativistici, un approccio cognitivo.
Vengono messe in rilievo le somiglianze tra tutte
le scuole buddhiste, basate sugli insegnamenti originari e non contraddette
dalle evoluzioni successive, in particolare le strategie di liberazione da
brama, odio e illusione e la pratica di compassione ed equanimità, come pure le
differenze tra la tradizione Theravada, di maggiore rigore normativo, forse, e quella
Mahayana, in cui si segnala l’importanza assegnata al Bodhisattva, ovvero a chi,
raggiunta l’illuminazione, rinuncia al Nirvana per restare tra gli esseri e
svolgere un’opera costante di aiuto altruista.
Un aspetto dell’etica buddhista, è l’impegno con la focalizzazione su questioni vaste
quali giustizia, povertà, politica e ambiente. La versione contemporanea viene in
gran parte ascritta a Thich Nhat Hanh che coniò appunto l’espressione “Buddhismo
socialmente impegnato”.
Si snodano poi vari capitoli di discussione di momenti cruciali: animalismo e ambiente a partire dal precetto del rispetto per
ogni forma di vita; il non prescrittivismo degli abiti vegetariani, ma di fatto
la sua universale preferenza tra i religiosi buddhisti; la correttezza dei
rapporti sessuali tra la comunità dei laici e l’astinenza tra i religiosi;
discussione attuale tra i Buddhisti anche su questioni quali la procreazione
assistita, l’interruzione della gravidanza, il suicidio e la guerra. In
particolare, il suicidio viola il principio del rispetto della vita, nondimeno
è esistito nella tradizione moderna: noti in particolare i suicidi di monaci
durante la guerra del Vietnam, con un certo giustificazionismo che nega il termine
suicidio evidenziando invece l’atto dimostrativo di appello all’opinione
pubblica con quel gesto clamoroso per sensibilizzare. Sulla guerra si ritrova
un dibattito tipico anche in Occidente su quanto il conflitto bellico sia
giusto o ingiusto, e fino a che punto il non uccidere impedisca lo svolgersi di
azioni militari per difendere nazione e valori quali la libertà: in tal caso, versioni
diverse del Buddhismo hanno dato risposte diverse col coinvolgimento di vari
paesi dell’Est asiatico in guerre e violenze. Le contraddizioni, in breve, sul
piano pragmatico, rispetto ai precetti, non mancano.
Un libro utile, chiaro, ben argomentato, conciso.
[Roberto Bertoni]