Milano, Feltrinelli, 2014
Il
romanzo segue, tramite la narrazione in prima persona, la vita di Adele, nata
in provincia, concetto su cui spesso insiste, tra Salerno e Napoli, dall’infanzia
all’età di 54 anni nel presente.
Sul
piano dello sviluppo narrativo, corrispondente alla struttura autobiografica,
più ancora forse al romanzo di formazione, la parte centrale è assunta dalla
relazione amorosa tra la protagonista e Fausto. Scorrono le aspettative
politiche degli anni Settanta, con riferimenti alla contestazione e al
terrorismo e la scelta di Fausto di militare nel Partito Comunista.
Questo
personaggio maschile, introverso sul piano psicologico, rappresenta un’ideologia
di autodisciplina, utopia e dedizione altruistica. Adele è aperta al mondo e
compensa il fidanzato con una personalità affabile ed estroversa. Congiunzione di
opposti, junghianamente, eppure condivisione di progetti politici e sociali, com’era
effettivamente in una certa sinistra di quegli anni.
La
rottura con Fausto conduce a una separazione di strade personali: lui si sposa,
lei sceglie di restare single. Si rincontrano anni dopo, è restata la
solidarietà di un tempo, non la possibilità di riallacciare un rapporto.
Questa
storia, che naturalmente coinvolge ritratti anche di altri personaggi, è quindi
un riflesso del rapporto tra privato e pubblico nato negli anni Sessanta e
modificatosi a partire dagli anni Ottanta.
Tuttavia,
l’elemento tematico centrale non è questo, bensì una riflessione sulla lettura
e sul rapporto che essa mantiene con la realtà. Adele riferisce da varie
angolazioni su questa problematica. Ci sono circoli di lettura, il tentativo di
costruire una libraria di quartiere, il camorrista che respinge i libri,
lettori che trovano conferma nei romanzi del loro modo di essere, in
particolare
Fausto
è rappresentato come un’incarnazione di Myskin nell’Idiota di Dostoevskij: “quella forma
superiore di intelligenza del mondo che è il totale disinteresse dell’io”.
Adele è riflessa in varie figure, ma ciò che trova
nei libri è più di tutto la realtà, in ciò differenziandosi da uno dei modelli evidenti
della riflessione di Rea, ovvero Se una
notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Nel Sorriso di Don Giovanni Adele scrive una lunga lettera a Calvino
proprio su questo romanzo: in parte di ammirazione, in parte di contestazione
proprio sulla base dell’influsso diretto che sente la lettura abbia sulle
scelte di vita, al punto di ritenersi financo “traviata dai libri, vittima
delle loro menzogne, dei loro messaggi edulcorati, oppure consolatori”.
L’idea di Adele è che “sarebbero stati i romanzi a
salvare il mondo dalla dissoluzione”; i romanzieri perché “sussurrano invece di
parlare?”. A ciò si accompagna, nell’era attuale, quello che Rea in un’intervista
definisce così:
“[…] lo sconcerto all’eventualità
che il libro come oggetto sia al termine di una storia iniziata nel
Cinquecento. Vivo questa possibilità, dall'alto dei miei ottantasette anni, con
un senso di perdita. L’e-book non ha
peso, profumo, bordi da annotare, va e viene senza occupare spazio nella mia
casa, senza potermi redarguire con la sua sola presenza accanto a me” [1].
La parte conclusiva si svolge nella biblioteca di
Adele, contenente “quindicimila trecentoquindici volumi contati uno per uno” e
organizzata da una bibliotecaria assunta all’uopo e il cui rapporto con Adele
ricorda, espandendolo, quello del narratore in prima persona in L’occhio del Vesuvio (le avventure di un
povero polacco di talento) [2].
Nella Nota
dell’autore, posposta al testo, Rea scrive: “Questo romanzo, di pura
invenzione, non adombra situazioni o personaggi reali, In esso tutto è sogno”.
La prima opera di totale invenzione, cioè non basata su persone effettivamente
vissute, che ha scritto Rea.
[Roberto Bertoni]
[1] “Ermanno Rea: ‘Ho davvero paura che il mondo smetta dileggere’” (Intervista a cura di F. Erbani), La
Repubblica,
30-1-2014.