Originale francese: Parigi, Plon, 1951. Trad. italiana di L. Storoni
Mazzolani, in M. Yourcenar, Opere, Milano, Bompiani, 1986, pp. 299-578.
Come rivela l’autrice nei Taccuini
di appunti (pp. 546-64), Memorie di Adriano fu iniziato in età
giovanile, tra il 1924 e il 1926, ripreso varie volte negli anni Trenta, infine
nel 1948 fino alla pubblicazione nel 1951.
La narrazione si prospetta come
lettera di Adriano a Marco Aurelio, che da una iniziale intenzione di comunicazione
del proprio male passa ad affari di Stato per finir col riflettere sul fatto
che si tratta in realtà di un’autobiografia: “Je me propose maintenant
davantage: j’ai formé le projet de te raconter ma vie”.
Come si legge nella Nota conclusiva
(pp. 565-78), in questo romanzo il “valore umano risulta singolarmente
arricchito dalla fedeltà ai fatti”.
La letterarietà di questo testo consiste
in effetti soprattutto di due elementi.
Da un lato, troviamo appunto i “fatti”:
nella preparazione dell’opera la meticolosa consultazione delle fonti antiche,
che si riflette nella citazione obliqua o diretta e nei riferimenti storici,
accompagnata da una modernizzazione riposta nell’attualizzazione di alcune
problematiche, soprattutto quella della transitorietà del periodo in cui visse
il protagonista tra religioni antiche e un Cristianesino non ancora affermatosi;
e nella riflessione sul consolidamento dell’Impero tramite le riforme
istituzionali e l’appoggio sulla cultura.
Dall’altro assistiamo a una soggettivizzazione del personaggio,
coesistente con paradossale armonia con l’appena notata oggettivazione. Scrive
Yourcenar: “Si j’ai choisi d’écrire
ces Mémoires d’Hadrien à la première personne, c’est pour me passer le plus
possible de tout intermédiaire, fût-ce de moi-même. Hadrien pouvait
parler de sa vie plus fermement et plus subtilement que moi”. Adriano arriva del resto a
sostenere: “Tout
être qui a vécu l’aventure humaine est moi”. Ha ragione, a tale proposito, il
lettore, non identificato se non da pseudonimo, che scrive: “Plus encore
que Flaubert n’était Bovary, Yourcenar est Hadrien et ce livre dépasse les
bornes du roman historique pour devenir une réflexion sur l’homme, sur l’humanité”
[1].
La riflessione di Adriano sulle proprie fonti è anche quella dell’autrice
del testo:
“Comme
tout le monde, je n’ai à mon service que trois moyens d’évaluer l’existence
humaine: l’étude de soi, la plus difficile et la plus dangereuse, mais aussi la
plus féconde des méthodes; l’observation des hommes, qui s’arrangent le plus
souvent pour nous cacher leurs secrets ou pour nous faire croire qu’ils en ont;
les livres, avec les erreurs particulières de perspective qui naissent entre
leurs lignes”.
Concordiamo con la riflessione di quest’altro lettore sotto pseudonimo:
“Les mémoires d’Hadrien sont une œuvre étrange,
atypique. A la fois roman historique, autobiographie fictive, c’est surtout un
texte exigeant, érudit et fascinant à travers lequel Marguerite Yourcenar donne
une voix à un empereur, et surtout, un homme, faisant de la figure historique […]
un être de chair et de sang et s’effaçant derrière lui. La dernière page des
Carnets de notes de Mémoires d’Hadrien
[…]: ‘Refaire du dedans ce que les
archéologues du 19e siècle on fait du dehors’” [2].
Yourcenar rivela coscienza del compito di modernizzazione, quando parla
della propria opera come di uno “studio sul destino di un uomo” (e ritiene che
nel Rinascimento avrebbe preso corpo come saggio e nel XVIII secolo si sarebbe
potuto esprimere sotto forma di tragedia, p. 559). Al tempo della scrittura di Memorie di Adriano, secondo Yourcenar,
una volta superato il romanzo storico dell’Ottocento che troppo spesso si era
trasformato in racconto di cappa e spada, si trattava, proustianamente, si
ricostituire la dimensione della modernità coll’immergere la narrazione in un “temps
retrouvé” e in una dimensione interiore (p. 552), o, come sostiene Adriano, coll’essere
“un Ulisse senza altra Itaca che quella interiore” (p. 402); e collocando l’autobiografia
in una posizione diacronica simile a quella del lettore (p. 546), per questo
dunque l’appello del “tu” epistolare che è al contempo un appello al lettore e
la riflessione su quanto accaduto al termine della propria esistenza minata
dalla malattia.
Lo scopo, rispetto alla modernità è quello di “collaborare col tempo
nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo,
quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il
segreto delle sorgenti” (p. 404).
La presenza costante della guerra, tragicamente vicina al tempo della
prima stesura e terminata da poco al tempo dell’ultima; gli spostamenti e i
viaggi in un mondo globalizzato com’era l’Impero romano; la predisposizione
verso l’architettura e le belle lettere sono anch’essi elementi di
attualizzazione in una scrittura che, pur leggibile, poco concede alla
popolarizzazione che sembra invece caratteristica delle opere recenti sul mondo
occidentale antico.
NOTE
[2] Ibidem.
[Roberto Bertoni]