[Crossing the street (Gwanghwamun, 2013). Foto Rb]
Corea, 2013. Regia di Hong Sang Soo. Con Jung Chae Jong, Jung Yu Mi, Kim Sang Jung, Lee Sun Kyun.
Abbiamo varie predilezioni nel
cinema: una di esse è il minimalismo quando, come nel caso di Hong Sang Soo, si
presenta con intelligenza, ironia, metanarratività. Come già, di questo
regista, ci aveva convinto 누구의 딸도 아닌 해원 (Nobody’s Daughter
Haewon), così questa seconda pellicola rivela simili strategie e contenuti,
come se l’autore si addentrasse sempre in un suo variegato e al contempo unico manifestarsi di eventi quotidiani.
In 우리 선희 (Our Sunhee), la protagonista indicata
nel titolo è una neolaureata che, per studiare all’estero, chiede referenze al
suo ex docente di cinema, il quale le scrive, indicando elementi positivi
(genialità artistica, capacità accademiche, onestà), ma anche aspetti potenzialmente negativi (riservatezza eccessiva, scarsa volontà di emergere).
Insoddisfatta, la ragazza riesce a farsele riscrivere: il nuovo testo indica le
stesse qualità del precedente, ma tutte messe in una luce lusinghiera.
Frattanto, riattivato il rapporto con l’università in cui ha studiato,
riincontra un ex fidanzato e un altro intellettuale, tutti e due registi.
I tre uomini, divisi da qualche
anno di età gli uni dagli altri, a rappresentare tre generazioni, sono tutti
infatuati di Sunhee, la quale pare dimostrare loro attenzioni affettuose in
misura leggermente diversa, verso il professore in parte per opportunismo non
esagerato e più di tutto per ammirazione, verso l’ex fidanzato per un amore non
del tutto risolto, e verso l’altro per stima nei confronti del suo
lavoro.
La storia si conclude nel parco di un palazzo storico, sede emotiva per i colori dell’autunno, coi tre pretendenti che si
incontrano tra di loro, mentre lei, complice il docente, riesce a sottrarsi all’imbarazzo
di un confronto. I tre parlano del più e del meno oltre che di Sunhee, senza
sapere (o fingendo di non sapere) che la ragazza di cui sono infatuati è per
tutti e tre la stessa.
Scritto con levità di dialoghi e delicatezza di immagini, questo testo è accattivante e capace
di percepire sfumature umane senza condannare e senza assolvere.
La ripetitività svolge un ruolo
chiave: modificando leggermente le situazioni, soprattutto quella degli
incontri di Sunhee con gli spasimanti di fronte a varie bottiglie di birra e di
liquore soju, in cui l’alcol
incoraggia le confessioni che risulterebbero altrimenti imbarazzanti.
C’è nostalgia di un passato
più semplice della modernizzazione estrema di oggi. La Seoul di Hong è fatta di
piccoli caffè, di vialetti ancora alberati, con gente vestita in modo comune,
non artefatta. Anche una certa infrazione delle regole del contemporaneo
politicamente corretto, dato che in questo film tre personaggi su quattro
fumano in continuazione.
Una canzone trot di tanti anni fa accompagna nostalgicamente quattro scene di
rivelazioni e malinconia.
Il mondo narrato coincide con quello dell'abitante del mondo reale che lo narra, concentrandosi sull'ambiente del cinema e soprattutto dell'arte di nicchia, distante dalla commercializzazione, ma non per questo spocchiosa ed elitaria.
Il mondo narrato coincide con quello dell'abitante del mondo reale che lo narra, concentrandosi sull'ambiente del cinema e soprattutto dell'arte di nicchia, distante dalla commercializzazione, ma non per questo spocchiosa ed elitaria.
È veramente un bel film. Meritato
il premio per il miglior regista a Hong al Festival di Locarno del 2013. Gli
attori sono tutti perfettamente calati nelle loro parti e tutti noti in Corea.
[Roberto Bertoni]