Milano, Rizzoli, 2009
La
prima mano del titolo è quella del padre della narratrice autobiografica; e
l’ultima è quella degli alleati che entrano in Roma, distribuendo cioccolata ai
bambini, tra cui la protagonista; come a indicare un itinerario di
sopravvivenza, da un lato, il genitore e la presenza di un bene alimentare, e
dall’altro la dimensione personale e quella storica che si affiancano nel
libro, la prima prevalente rispetto alla seconda in questo volume a differenza
di altri di Loy.
Con un
incedere al presente anziché nei tempi passati, e la conseguente immediatezza
del rivissuto, il periodo storico è
quello compreso tra gli anni Venti, gli anni in cui si conoscono e si sposano
il padre ingegnere e una sua impiegata e il 1945. La nascita dell’autrice è nel
1931.
Si
tratta di un’esistenza vissuta in un ambiente sociale alto-borghese, nel lusso
di una famiglia nondimeno orientata su valori di solidarietà reciproca. Questa normalità privilegiata contrasta con
l’eccezionalità delle cronache politiche e dei tempi lunghi che sfociano nella
seconda guerra mondiale gestita disastrosamente dal regime fascista.
Il
padre pare dissociato, almeno superficialmente, da Mussolini, anche se la
famiglia non ha a subire persecuzioni. Sfollano per sfuggire ai bombardamenti,
rifugiandosi in Svizzera in un hotel.
Gli
spazi ampi della casa cittadina con servitù e delle villeggiature in montagna;
gli spostamenti tra il Piemonte e Roma; la dimensione familiare piuttosto
serena; ma affiorano di colpo tragedie dette con reticenza come il moncherino
di un amico, che perde il braccio in un incidente stradale e gli orrori della
guerra, accompagnati, per un intento, si direbbe, di documentazione obiettiva,
dal riscontro di momenti di umanità anche tra i tedeschi.
La
storia non è solo sfondo, sfila come il treno che passa veloce in una stazione
di sfollati e dentro il quale si trova la principessa Savoia.
La
storia, anzi, si intreccia con la narrazione, seppure sia l’occhio di bambina,
poi di adolescente che osserva, dunque privilegiando particolari affettivi più
che ideologici; l’ideologia viene anzi tenuta a bada, alle spalle. Anche il
finale lo conferma, con l’ultima parola, “eternità”:
“Ma il
nostro impercettibile passaggio sulla terra di cui restano solo frammenti, mi
sembra a volte, ma solo a volte, che avendo noi facoltà di immaginare i
miliardi di esistenze dalla preistoria ai nostri giorni, ne viviamo, in realtà,
di vite, un numero sterminato. Fino a proiettarci, come astronauti,
nell’eternità” (p. 189).
[Roberto
Bertoni]