Sottotitolo: Sociologia del nuovo rosa. Napoli,
Sapere, 1984
È un libro che abbiamo
ripreso in mano, sottratto a un ridimensionamento della libreria casalinga,
dopo tanto tempo e ci è sembrato ancora valido in vari suoi aspetti.
Bordoni contestava il
“pregiudizio” secondo il quale la paraletteratura, nella fattispecie il romanzo
rosa, si possa semplicemente considerare “frutto dell’industria editoriale di
massa, fabbricato in serie” (p. 15), deprivandolo così di storicità e
dimenticando che le origini stanno nella ripetitività delle opere già della
cultura greca (l’epos), derivando
insomma la letteratura colta e no dalla stessa “matrice” (p. 16), che comprende
anche il fiabesco e la tradizione orale. Si passa in seguito attraverso i
modelli ottocenteschi, pur restando ivi nel campo della letteratura classica e
di buona qualità, per arrivare infine all’appendice e al rosa vero e proprio
del Novecento, rifiorito col passare del tempo a partire dagli anni Novanta.
Il romance, in cui si iscrive il rosa, precede il novel; due termini da intendersi come nella definizione del 1785 di
Clara Reeve: “novel è una
rappresentazione di vita e costumi reali, al tempo dello scrittore. Il romance descrive […] ciò che non è mai
successo, né probabilmente succederà mai” (p. 20). Secondo Scholes and Kellogg
“i personaggi principali di un romance
tipico sono senza dubbio esseri umani, ma […] eccezionalmente affascinanti e,
di solito, virtuosi e ligi all’onore nonostante le terribili circostanze in cui
vengono a trovarsi” (p. 21). Il romance,
come sostiene Frye, è legato all’intrattenimento, ma c’è di più: “la classe
sociale e intellettuale dominante tende a proiettare i suoi ideali in una
qualche forma di romance, in cui gli
eroi virtuosi e le eroine bellissime rappresentano gli ideali, e i cattivi la
minaccia che ostacola l’influsso dei primi sulla società” (p. 22).
In genere nella narrativa
d’appendice, fin dall’Ottocento, si pensi a personaggi come Cidòcq, Lupin,
Fantomas, Rocambiole, “traspare sempre una qualche istanza sociale edulcorata e
sfuggente” (p. 29), in funzione del fatto che “romanzo popolare e romanzo
sentimentale s’incontrano con molta naturalezza, sull’onda di […] ideali
piccolo-borghesi, per porre le condizioni necessarie alla nascita del romanzo
rosa” (p. 30).
Alla ripetitività della
letteratura rosa entro la cultura di massa è legato il piacere della lettura. A
essa si accompagna la serialità. Una serie di aspetti fa rientrare il rosa nel
modello consumistico della moderna letteratura di massa. Nella storia del rosa
italiano si parte da ambientazioni aristocratiche o alto-borghesi per muovere
coi decenni verso anche altri strati sociali, onde favorire i meccanismi di
immedesimazione di un pubblico che, prevalentemente femminile, man mano si
compone di persone di cultura media mentre le persone di cultura più bassa
sembrano aderire piuttosto alle varianti televisive, che d’altronde coinvolgono
spettatori di ogni ceto.
Tanto che “l’eroina del
nuovo rosa, in genere, svolge un’attività fuori casa” (p. 87), ha attività
sessuali, esprime idee e opinioni, nondimeno il lieto fine, rassicurante ed
edulcorato, la spinge verso il matrimonio come prospettiva di felicità: “ogni
questione, ogni contrasto, ogni lacerazione interiore è destinata a sciogliersi
nella rivalutazione dell’amore e del sentimentalismo che vince ogni cosa” (p.
153).
Secondo l’autore, questa
è una connotazione negativa, in quanto combinandosi “pessimismo sociale e
ottimismo individuale”, si ha un “ingenuo romanticismo” che “nasconde la
pericolosa […] sopravvalutazione di un umanesimo allo stato di natura” (p.
154).
[Roberto Bertoni]