[That bridge, as dangerous as precarious lives... (Busan 2013). Foto Rb.]
Lee Sang Woo, BARBIE (바비). Corea, 2012. Con Earl Jackson, Jo Yong Suk, Kim Ah Ron, Kim sae Ron, Lee Chun Hee, Lee Sang Woo
Un film piuttosto obliquo quanto a sensibilità e in cerca di effetti
psicologici fuori del comune, un che esasperati, sembrerebbe. Invece si basa,
secondo una dichiarazione del regista, su fatti realmente accaduti
negli anni Novanta [1].
In breve, per l’intreccio. Una famiglia relativamente indigente di Pohang, nella Corea orientale, sul mare, gestisce una modesta pensioncina da dieci euro a notte. La madre è deceduta; ed è da quel momento che le figlie, due bambine di dodici e otto anni, si sono trasferite da Seoul in provincia, essendo diventato mentalmente svantaggiato il padre nell’incidente in cui sua moglie è scomparsa, a vivere con uno zio che le tratta rudemente. Lo zio cerca di cedere la figlia maggiore a uno statunitense per togliere una bocca da sfamare e ricevere un compenso in danaro. La grande non vuole andare in America, anche per senso del dovere, dato che è sua la responsabilità della conduzione domestica. Sarà la piccola, più condizionata da mito dei consumi nonostante l’età precoce, a partire.
Man mano che la storia si sviluppa, si dipana la ragione per cui quest’uomo vuole adottare una delle ragazzine. Una delle sue due figlie soffre di cuore: l'americano userà il cuore sano della bambina coreana per un trapianto. Motivazione macabra e disonorevole. La figlia che ha viaggiato con lui dagli Stati Uniti, inizialmente all’oscuro delle vere ragioni dell’adozione, fa amicizia con la sorella coreana maggiore, fino quando, scoperta la causa del viaggio, cerca dapprima di defilarsi, anzi, nonostante la barriera linguistica, di rivelare tutto ai familiari della sfortunata donatrice d’organo, ma alla fine prevale la fedeltà al clan e parte col padre e la piccola che tiene in mano felice una bandierina americana, lasciando alla sorella della sventurata un messaggio in cui si ripete per due pagine di seguito, senza fornire spiegazioni, la parola inglese “sorry”.
Il regista, che è stato per anni assistente di Kim Ki Duc, nega ogni
filiazione tematica dal maestro. Con evidenza mente, dato che questa
storia ricorda da vicino le vicende dei film di Kim, esasperate e distorte
rispetto alla cosiddetta normalità.
Detto ciò, si rileva uno scopo sociale di denuncia del traffico di organi [2] e di critica del materialismo statunitense. Il personaggio del padre, inoltre, rivela una sensibilità pressoché nulla nei confronti della Corea e una mentalità caratterizzata da pregiudizi, mentre la figlia reagisce con naturalezza e positivamente all’ambiente in cui si trova.
Detto ciò, si rileva uno scopo sociale di denuncia del traffico di organi [2] e di critica del materialismo statunitense. Il personaggio del padre, inoltre, rivela una sensibilità pressoché nulla nei confronti della Corea e una mentalità caratterizzata da pregiudizi, mentre la figlia reagisce con naturalezza e positivamente all’ambiente in cui si trova.
Ciò che rende interessante questa storia, tuttavia, è in primo luogo la
modalità artistica. La recitazione è ottima, non solo in ragione di attori
consumati e noti quali Lee Chun Hee, ma anche per le due bambine, sorelle anche nella
vita reale, forse per questo così affiatate sul grande schermo, e bravissime. Il motivo di Barbie simbolizza tanto la vanità e l’esterofilia (nel personaggio
di Soon Ja), quanto il mantenimento nello stato dell’infanzia, con un passaggio
all’adolescenza consistente nel liberarsi della bambola da parte della
ragazzina americana (il cui nome è Barbie come la bambola con cui gioca) una
volta che perde l’innocenza diventando complice delle trame del padre, pur
intese a salvare una vita, ma sacrificandone un’altra.
La realtà del quotidiano è espressa con semplicità e realismo. I sentimenti
vengono vissuti con intensità. L’egoismo dello zio si trasferisce sul consumo:
nell’ultima scena, coi soldi guadagnati dall’americano, acquista un’auto.
Lee Sang Woo ha diretto i suoi film, premiati e ben visti dalla critica,
con budget all’osso, in certi casi
sotto i 20.000 euro, dimostrando così che si può fare cinematografia senza
necessariamente cadere nei meccanismi commerciali. È la prima volta che usa
attori professionisti. Sebbene questa pellicola sia costata più del solito, l’impegno
finanziario è comunque a livelli bassi.
NOTE
[1] “Barbie is based on a real life case from the 1990s. In the 1990s a
famous Korean director attempted to make a movie from this material, but the
government stopped him. They were afraid it might cause friction with the
American government. Twenty two years later I made Barbie from this material” (Barbie, Korean Movie).
[2] Tema d’attualità nell’Asia nordorientale, se lo ritroviamo anche nel
primo episodio una recente sitcom
giapponese, Sennyu Takei Tokage, con
un plot simile a quello di Barbie (una rete di trafficanti cerca di
rapire una bambina orfana per garantire un trapianto di rene alla figlia
inferma di un politico nipponico, ma il complotto viene qui sventato e il
politico viene persuaso a cedere il rene egli stesso).
[Roberto Bertoni]