Parigi, La Découverte, 2008.
Il volume prende in esame le teorie dell’immigrazione, soprattutto dagli
anni Settanta in poi, discutendo allo stesso tempo dei problemi collegati a
tali apparati e muovendo in direzione di scelte ideologiche democratiche e
aperte.
Partendo dalla scuola di Chicago con la definizione del ghetto, la prospettiva
urbana e il concetto di assimilazione, si prosegue con l’affiorare della
sociologia dell’immigrazione in Europa, continente in cui il fenomeno di
spostamenti di popolazione all’interno delle frontiere è qui collocato a
partire dagli anni Cinquanta.
Giustamente si indica Sayad all’origine di una teoria dell’immigrazione
che tenga conto dei rapporti di dominio e di potere che tendono a definire in
propria funzione i migranti, lasciandoli, anche nelle delimitazioni concettuali, in
una posizione di subalternità e provvisorietà. Succedono a tale interpretazione
quelle di chi si è occupato dell’alterità, cioè della categorizzazione secondo
strumenti simbolici che relegano i migranti nella zona dell’Altro, arrivando
alla stigmatizzazione, alla difesa di una presunta naturalezza delle
differenze, alla supposta impossibilità d’integrazione di certi gruppi
all’interno di società diverse, alla giustificazione dell’esclusione dai
diritti civili e così via.
Passando al periodo attuale, si evidenziano importanti elaborazioni sulle
migrazioni internazionali e sulle ragioni del loro perdurare: tra queste i
saggi di Massey sulle reti sociali che unificano migranti recenti e di scorse
generazioni in relazioni di parentela e amicizia con ricaduta sulla percezione
dello stato di residenza in paesi stranieri rispetto a quello natio; la concezione
del “sistema mondo” di Wallerstein, che “iscrive le migrazioni in un ciclo
storico lungo, cioè quello del mercato mondiale nato nel sedicesimo secolo” (p.
30); l’impostazione che identifica i cosiddetti “3-D jobs (dirty, demanding and
dangerous”) (p. 37).
Trattato è naturalmente il concetto di transnazionalismo, che, notano gli
autori, “ha messo in discussione la nozione che gli emigranti siano degli
sradicati senza più legami con i territori di provenienza”, insistendo sulle
reti sociali che vanno al di là delle frontiere nazionali, con modalità di
partecipazione multiple sia nel paese di origine che in altri (p. 41).
Quanto all’assimilazione, si rileva come essa si sia modificata anche in
situazioni che la promossero in passato, soprattutto negli Stati Uniti. Gli studi
di Portes e Zhou sulla segmentazione evidenziano che essa si attua in ragione
delle varianti dei fattori d’integrazione individuali (conoscenza della lingua,
motivazione, livello d’istruzione, durata del soggiorno) e strutturali
(etnicità, origine socio-economica delle famiglie, luogo di residenza): con
comunità deboli se principalmente composte da lavoratori manuali; e forti se
diversificate per attività professionali (p. 52).
[Roberto Bertoni]
[Roberto Bertoni]