[Buddhist statues in Hong Kong. Foto Rb]
Paul R. Fleischman, Karma e caos. Perché
meditare. Ed. originale in lingua inglese 1986, 1994, 1999. Traduzione di Maria
Caterina Cravignani. Roma, Astrolabio – Ubaldini 2001 (ristampa 2011).
Il volume contiene una serie di scritti dell’autore
psichiatra, discepolo di S.N. Goenka, sulla meditazione vipassana.
Pur insistendo sulla necessità della trasmissione
orale e tramite i corsi, veri o propri ritiri della durata di dieci giorni, organizzati
in varie parti del mondo, compresa l’Italia, Fleischman spiega il rilievo di
questa tecnica buddhista della tradizione originaria, nell’accezione birmana,
sia di per sé che dal punto di vista psicologico.
“Vipassana significa
‘visione profonda’, vedere le cose come realmente sono” (p. 73). Questa
modalità di meditazione “non è una religione, non richiede conversione ed è
aperta ai praticanti di qualsiasi fede, nazionalità, razza e cultura” (p. 74).
Si fonda sull’“interdipendenza [...] tra corpo e mente” (p. 75). La meditazione
va intesa come impegno di vita e quotidiano, comprende i principi buddhisti, ma
si attua a partire dalla considerazione del corpo e si estende alle aree
esistenziali e della psiche profonda.
Si propone effetti terapeutici benefici per l’“integrazione
del passato” (p. 57), l’acquisizione di responsabilità etica, la “risoluzione
dei conflitti” (p. 61), il superamento delle paure radicate nell’essere, la
consapevolezza di anicca, ovvero l’impermanenza,
da cui la “diminuzione del narcisismo” e lo sviluppo di qualità umane come la
generosità e l’altruismo.
L’aspetto terapeutico è tuttavia solo uno dei
fattori. La meditazione vipassana “differisce”
infatti “dalla psicoterapia per la sua base di specifici valori etici e perché
propone un percorso che porta alla trascendenza” (p. 79).
Uno dei presupposti è: “io non soffro in
conseguenza di quanto mi è accaduto, ma perché sono incapace di staccarmi dalle
reazioni a quegli eventi che si sono prodotte all’interno della mia mente e del
mio corpo” (p. 79).
Nel dialogo interiore sulle problematiche
quotidiane il meditante apprende a scegliere la “ragionevolezza” (p. 90),
elemento anch’esso terapeutico.
[Roberto Bertoni]