03/11/12

Daniela D’Angelo, CATALOGO DEI GIORNI FELICI


Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia, 2012

Al suo primo libro di poesie, Daniela D’Angelo mette insieme un sottile e insieme denso Catalogo dei giorni felici, composto da trentatrè componimenti numerati dall’1 al 33, come se si trattasse dei capitoli di una storia che,   pur raccontata solo nei minimi termini, racchiude al suo interno la prima metà della vita. I componimenti del Catalogo dei giorni felici sono seguiti da altre tre poesie inserite in Fuori raccolta. 

Il catalogo, che dovrebbe contenere i giorni felici, è percorso da momenti di paura, di smarrimento, di allarme e di attesa. Non si sa di chi sia il ritorno atteso e temuto, ma soprattutto si ha paura di un incontro che potrebbe essere pericoloso, se si ha bisogno di difendersene con tagliole. La trappola è già annunciata nel componimento 9, anche se qui a cadere in trappola è l’io poetico, dopo aver portato via gli abiti dai cassetti e dagli armadi, forse di qualcuno che è andato via.

Attraverso operazioni minime, riferite attraverso pochissimi gesti, il dolore sembra affacciarsi brevemente: “Come si chiama la leggerezza del cuore /  il brivido che assomiglia a un segreto?  /  mentre si gira dall’altra parte, il dolore  /  si fa piccolo, discreto  / ”.

Il componimento 14 sembrerebbe spiegare il titolo del libro: i giorni felici sono quelli in cui non capita quasi niente: “Cominciare le letture da finire / finire col guardare vecchi film / tenere un catalogo dei giorni / in cui succede poco, / quasi nulla. È il catalogo dei giorni più felici / a tenerti compagnia lungo la sera. / L’album delle foto che non hai / per ricordarti la vita che non c’era”. 

Ma anche nel componimento 18. si fa riferimento al catalogo: “Le dita giocano / coi lembi di un tovagliolo / sul bordo del terrazzo. / Sull’onda / viola della sera / il catalogo dei giorni / si svuota in un bicchiere”. Il tovagliolo e il bicchiere rimandano a oggetti della vita quotidiana, ma nell’improvviso affiorare della sera, percepito come un’onda, il catalogo dei giorni si svuota, come se al cadere delle ombre l’ordine garantito dal catalogo venisse meno, oppure  l’ordine minimo di cui l’io riesce a dotarsi. La sospensione creata dall’enjambement (“Sull’onda / viola della sera”) provoca un increspamento che si risolve nel movimento finale.  La sera sembra illuminarsi di una luce bifronte, come ha sostenuto Antonio Celano, che permette di vedere il momento presente e la sua ombra.

C’è in ogni componimento un movimento sottile, una vibrazione che attraversa ogni gesto quotidiano, un’ammissione di debolezza che impedisce l’abitudine, che anzi si è pronti ad accogliere per sentirne il calore. Man mano che si procede nella lettura quanto più la locuzione si fa breve, tanto più il dolore sembra addensarsi, diventa spasmo, crampo, le ombre della sera mostrano non solo il trascorrere del giorno, ma l’incombere della morte sulla vita. 

Il componimento 33 si apre con lo stesso verbo utilizzato per il componimento 6. “Ho messo”, questa volta non si tratta più di campanelli e tagliole, ma di una rosa in un bicchiere. A conclusione del Catalogo l’io sembra aver scelto un punto di vista particolare: stare a guardare “senza fare una piega” la caducità bellissima del quotidiano.


[Rossana Dedola]