Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia, 2012
Al suo primo libro di poesie,
Daniela D’Angelo mette insieme un sottile e insieme denso Catalogo dei giorni felici, composto da trentatrè componimenti
numerati dall’1 al 33, come se si trattasse dei capitoli di una storia
che, pur raccontata solo nei minimi
termini, racchiude al suo interno la prima metà della vita. I componimenti del Catalogo dei giorni felici sono seguiti
da altre tre poesie inserite in Fuori raccolta.
Il catalogo, che dovrebbe
contenere i giorni felici, è percorso da momenti di paura, di smarrimento, di
allarme e di attesa. Non si sa di chi sia il ritorno atteso e temuto, ma
soprattutto si ha paura di un incontro che potrebbe essere pericoloso, se si ha
bisogno di difendersene con tagliole. La trappola è già annunciata nel
componimento 9, anche se qui a cadere in trappola è l’io poetico, dopo aver
portato via gli abiti dai cassetti e dagli armadi, forse di qualcuno che è
andato via.
Attraverso operazioni minime,
riferite attraverso pochissimi gesti, il dolore sembra affacciarsi brevemente:
“Come si chiama la leggerezza del cuore / il brivido che assomiglia a un segreto? / mentre
si gira dall’altra parte, il dolore / si fa piccolo, discreto / ”.
Il componimento 14 sembrerebbe
spiegare il titolo del libro: i giorni felici sono quelli in cui non capita
quasi niente: “Cominciare le letture da finire / finire col guardare vecchi
film / tenere un catalogo dei giorni / in cui succede poco, / quasi nulla. È il
catalogo dei giorni più felici / a tenerti compagnia lungo la sera. / L’album
delle foto che non hai / per ricordarti la vita che non c’era”.
Ma anche nel componimento 18. si
fa riferimento al catalogo: “Le dita giocano / coi lembi di un tovagliolo / sul
bordo del terrazzo. / Sull’onda / viola della sera / il catalogo dei giorni / si
svuota in un bicchiere”. Il tovagliolo e il bicchiere rimandano a oggetti della
vita quotidiana, ma nell’improvviso affiorare della sera, percepito come
un’onda, il catalogo dei giorni si svuota, come se al cadere delle ombre
l’ordine garantito dal catalogo venisse meno, oppure l’ordine minimo di cui l’io riesce a dotarsi.
La sospensione creata dall’enjambement (“Sull’onda / viola della sera”) provoca
un increspamento che si risolve nel movimento finale. La sera sembra illuminarsi di una luce
bifronte, come ha sostenuto Antonio Celano, che permette di vedere il momento
presente e la sua ombra.
C’è in ogni componimento un
movimento sottile, una vibrazione che attraversa ogni gesto quotidiano,
un’ammissione di debolezza che impedisce l’abitudine, che anzi si è pronti ad
accogliere per sentirne il calore. Man mano che si procede nella lettura quanto
più la locuzione si fa breve, tanto più il dolore sembra addensarsi, diventa
spasmo, crampo, le ombre della sera mostrano non solo il trascorrere del
giorno, ma l’incombere della morte sulla vita.
Il componimento 33 si apre con lo
stesso verbo utilizzato per il componimento 6. “Ho messo”, questa volta non si
tratta più di campanelli e tagliole, ma di una rosa in un bicchiere. A
conclusione del Catalogo l’io sembra
aver scelto un punto di vista particolare: stare a guardare “senza fare una
piega” la caducità bellissima del quotidiano.
[Rossana Dedola]