AMORE UNICO
Ogni
volta, dopo l’amore, piangeva.
Piangeva
ogni volta, dopo aver fatto l’amore.
Dopo
averla amata, piangeva, ogni sera
Ogni
notte, all’ombra della luna
E
al riparo dal solleone.
Le
prime timide lacrime, sconquassanti,
poi
i singhiozzi profondi di un grido di morte,
la
forza irruenta della potenza inespressa,
della
liberazione e della prigionia di un corpo d’acqua
e
creta plasmato da altri.
Interrogava
un Dio, chiedeva un’altra volta,
implorante
e affranto per quel mistero
intenso;
impotente, univa il proprio grido
di
amante respinto dall’amore
al
respiro del tempo che amore non conosceva,
ma
istanti e fughe. Ogni lacrima tratteneva a sé
una
goccia di violata esistenza, passione,
e
scorreva nel corpo ritratto e convulso,
timido
mostro di tenera compassione,
carne
dolorante e svuotata, interrogante.
Lei,
nuda, muta, piena,
gli
cingeva le spalle come la madre inerme
davanti
al figlio adolescente, addolorata e stanca,
senza
osservare il suo corpo lacero,
senza comprendere.
Chaque fois il pleurait, après l’amour
Chaque fois il pleurait, après avoir fait de l’amour.
2.
AD OCCHI SPENTI
AD OCCHI SPENTI
Le
onde lascive increspano
i
fianchi della brughiera
dove
un’anatra senza tempo
annaspa
e s’immerge.
E
il vento obbedisce
al
sommesso lamento
che
da secoli
lima
gli steli.
Potrei
essere ovunque,
la
sinfonia del vento
non
ha lingua,
ma
in fondo alla palpebra
il
chiarore dello spettro ceruleo
mi
dice che non potrei
essere
altrove,
qui,
dove il respiro non
conta,
placo
forse il mio tarlo
che
tace e non stride più
come
cicala al sole.
Forse?
domanda l’anima al tarlo che sgretola
Forse,
rispondono le callune
Forse,
ripete con sarcasmo l’angoscia che logora
Perché
se tutto io vedo e sento, respiro,
se
tutto sprofonda nel prisma della tristezza
schiaccerò
il respiro di dio
con
la mia logora mente.
3.
a D.
a D.
C’era
una volta, tanti anni fa
C’era
un tempo, secoli fa
ricordi?
si
rideva tutti e quattro sulla escort
la
storiella e la barzelletta
verso
la rocca coi carrubi
lo
ricordi?
s’era
piccoli,
s’era
ingenui,
s’era
sereni,
te
lo ricordi?
lo
immaginavi tu,
dimmi,
che
saremmo diventati
quattro
atomi alla deriva
pronti
a scontrarsi
con
rancori e frustrazioni.
Dimmi
se ricordi,
perché
nella nostra incapacità
di
essere ancora noi
di
capirci
non
ci sia il baratro,
ma
la stessa ghiaia di vermetti
e
lucertole dove correvamo insieme.
4.
a I.
a I.
Ritorni
in uno sguardo dimenticato,
nella
foto di un abbraccio estraneo,
riemergi
dalla tomba nella notte d’autunno,
in
una foto di amore estraneo.
Osservi
da là, cogli stessi occhi,
non
più miei, non più audaci,
le
stesse palpebre addolorate e curiose
che
chiedevano agli altri perdono
e
il permesso per la voce contenuta,
sommessa,
rappresa nel grano della tua terra
e
timida come vento che carezza i tuoi ulivi;
sussurro
che conteneva il grido della miseria
e
lo cullava al suono incantatore della singer,
lo
nutriva come l’altro figlio mai avuto
perché
l’amasse senza vagire, senza piangere;
sospiro
nelle fibre di un vestitino da bambola danzante,
in
un una bianca balera antica cent’anni
che
ricorda ancora le incerte mosse della bimba
il
giorno prima di un addio inatteso.
Cosa
hai dimenticato allora tra i ricci di mare,
tra
le zolle di terra, le spighe del grecale,
l’erba
bruciata dei tuoi dolci occhi,
la
spuma delle onde dei capelli crespi,
e
le mandorle acerbe che celano il segreto
del
tuo sguardo infiammato, del mio sguardo rapito di una foto
di
qualche anno fa.
5.
AMOR DE LOHN
AMOR DE LOHN
Sopravvivo.
Sapendoti
lontano,
tra
i flutti di una città ostile,
marinaio
triste arenato su un faro.
Io
in balia delle luci, estasiata,
di
noi immemore,
all’erta,
temendo
l’attacco della nostalgica preda
che
mi condurrà verso l’abisso.
Ma
l’ombra dei peli biondi e inermi
dalle
vellutate ombre di uno sfumato neon arancione
risveglia
la memoria del corpo,
dei
nostri corpi avvinghiati,
addormentati
l’uno sull’altro.
Il
mostro muggente ha vinto,
e
prigioniera delle lacrime nere
sprofonderò
nel labirinto della mia fragile solitudine.
6.
FILI D’ADDIO
FILI D’ADDIO
Avevo
due nonne.
Una
l’ho persa per il male del secolo.
L’altra
quando era vicina al secolo.
Non
ci siamo dette addio.
Ora
ci salutiamo nel camposanto
Sotto
il sole che lacera le mie lacrime.
Per
me i vostri piedi sono morti.
Piedi
uniti da un laccio,
caviglie
gonfie, che hanno visto i miei abbracci
di
bambina e mi sono corse incontro
nelle
domeniche di ogni stagione.
Una
fila di croci in una collina
Tra
caseggiati di bare
E
cappelle sontuose
Ti
riconosco dai sassi bianchi
Un
numero tra una donna con la bandiera della pace
E
una maestra con i saluti dei suoi alunni.
Scorro
le date,
cerco
la tua,
cammino
sui passati
e
non riesco crederli.