25/08/12

TESTIMONIANZA SU ALCUNI CONTESTI DI CONTORNO AL SORRISO DELL’IGNOTO MARINAIO DI VINCENZO CONSOLO


Chi compila queste note lesse il romanzo di Consolo per la prima volta nel 1976 e se ne appassionò anche per l’intreccio, vedendo tuttavia soprattutto, a quel primo approccio, un rapporto con la cultura politica di sinistra, la letteratura impegnata, la riflessione sui fatti estetici e storici. Dopo una seconda lettura, col trascorrere delle settimane, si aggiunsero la straordinarietà del linguaggio d’epoca ricostruito, la prospettiva esistenziale del protagonista, l’intertestualità verghiana insita però entro parametri antinaturalistici, il dialogo con l’opera sciasciana, conversazioni allusive con testi di Vittorini. Altri lati emersero a ulteriori letture. IL SORRISO DELL’IGNOTO MARINAIO è uno dei testi definibili come classici anche perché a ogni verifica rivela risvolti nuovi e profondi.

Qual era il contesto in cui uscì IL SORRISO DELL’IGNOTO MARINAIO?

Si tratta, notiamo subito, di un romanzo significativo per una generazione di intellettuali appena formati che ritenevano che la letteratura potesse contribuire a cambiare il mondo mentre innovava dall’interno se stessa con modalità di scrittura originali.

Nel panorama degli anni Settanta, il libro si collegava all’impostazione dell’alveo sociologico di ispirazione marxiana e a quello estetico di ascendenza sperimentale, pur restando al contempo dentro la produzione oggettiva della verità (in parte anche alla Lampedusa) e dentro il realismo. A compimento di una parabola storico-critica e creativa iniziata col neorealismo e proseguita con l’avanguardia, si prospettava nel 1976 come un’opera geniale, proprio perché riusciva a compenetrare le opposte tendenze che l’avevano preceduta senza derogare al rigore ideologico e linguistico, equilibrandole mirabilmente e rispondendo in tal modo, con voce anticonformista, tanto alle formule emergenti di stampo individualista quanto all’appiattimento linguistico che si sarebbe intensificato negli anni Ottanta e oltre. Il SORRISO rifiutava la banalità, respingeva il facile, dava validità e valore alla necessità di uno sforzo di lettura e alle potestà conoscitive della narrativa.

Cosa succedeva, storicamente, in quegli anni e come li rappresentava il SORRISO allegoricamente?

C’erano stati il Sessantotto e poi la sua crisi con una fase che appariva come restaurazione, anche, di equilibri politici conservatori; una Democrazia Cristiana sempre presente; organismi saldi di potere tradizionale. Nel campo della sinistra meno contestataria era compromesso storico, col che, oltre ad accordi che limitavano la conflittualità a livello sindacale e l’opposizione in Parlamento, si dava un’avanzata elettorale del Partito Comunista Italiano. La crescita di voti pareva indicare, se si guardava alla fiducia della base popolare, speranze di rinnovamento della società; e si espresse in particolare nelle elezioni europee dell’anno in cui fu pubblicato il testo di Consolo.

Era possibile riconoscere quella che oggi verrebbe definita la “sinistra radicale” nel Mandralisca redivivo dopo la fiammata del Risorgimento, intento a meditare prima, poi ad arrivare, dopo l’interazione con Interdonato e la rivolta popolare, al coraggio di affrontare la realtà di nuovo mediante il proprio terreno specifico di collezionista scientifico e di intellettuale, ideando la metafora della spirale (la conchiglia) per il carcere: “- Che c’entrano qui le chiocciole? - [...] C’entrano sì [...]. Perché si dà il caso che quel carcere di cui debbo parlarvi abbia la forma precisa di una chiocciola” (p. 115) [1].

L’immagine della prigione dinamicamente e per paradosso diventava (parzialmente simile in questo alla metafora della spirale delle COSMICOMICHE di Italo Calvino) una via d’uscita dal labirinto, che era costituito, nel caso della storia narrata da Consolo, dall’inattività.

Si profilava una messa in questione dell’uso solo erudito delle competenze culturali: si ribadiva l’opportunità di “leggere” i segni per trovarvi un significato; poi di “interpretare” tali segni; infine di “conoscere” attraverso questa operazione e prefigurare il futuro (p. 120).

Tramite verso la prassi, l’immagine della conchiglia si saldava all’intervento a favore dei non privilegiati, dato che nel testo si creava un’alleanza tra un rappresentante del ceto cólto e il popolo; e si instaurava un rapporto non populista, bensì fondato sulla riflessione nata proprio dal campo specifico di intervento accademico del protagonista.

Sul piano allegorico, in riferimento all’attualità, attraverso l’angolazione scelta da Consolo e i filtri narrativi di Mandralisca, passando dalla finzione (o meglio dalla ricostruzione del passato anche reale) alla contemporaneità nel mondo concreto, veniva segnalata la possibilità di allontanarsi dal cosiddetto riflusso.

Ad altri livelli, cultura e vita si intrecciavano e provocavano identificazione, su un piano anche psicologico a sfondo sociale, ove si comparasse la realtà della finzione (espressa ad esempio attraverso il quadro che dà il titolo all’opera) e la finzione della realtà (il personaggio di Interdonato), per riscontrare le tematiche dell’identità e del doppio, le facce dell’arte che entra nella vita a ricordare che c’è un’interazione tra i due campi, illuminati a vicenda dal flusso di energia della raffigurazione, con un sostrato di insegnamento non piattamente didattico, ma intrigante, complesso, disceso negli antri dell’inconscio oltre che steso sulle malghe della storia.

Il SORRISO rilanciava frattanto il romanzo storico in modo pervicacemente non commerciale: la storia era riletta con connotazioni di complessità, intersoggettività e dettagli della vita materiale, scientifica e artistica. Il Sorriso difendeva i valori della serietà contro la superficialità della cultura di massa, ma senza l’arroganza negativa dell’elitismo fine a se stesso di chi si isola dal movimento del mondo.

Quali romanzi uscivano nello stesso periodo in Italia e come si colloca tra di essi il SORRISO?

La posizione è di unicità e superamento, con ritrovamento del canone e rilancio del racconto storico, ma anche, come si notava, un’indomita innovazione linguistica orientata contro la banalizzazione della lingua e dei linguaggi. Nondimeno si era oltre l’informale, cosicché il portato positivo della letteratura di lettura ardua non si perdeva nell’inconsistenza dell’intreccio.

In altri modi, ma con simili intenti di resistenza storico-politica e innovazione dello schema narrativo, tra i romanzi contemporanei a quello di Consolo, si indicheranno esempi di opere compatibili, a parere di chi qui scrive, pure se stilisticamente differenziate, intese a restituire alla specificità l’invenzione rappresentando al contempo la realtà e cercando una verità privata e collettiva interconnesse.

In primo luogo Leonardo Sciascia (TODO MODO venne pubblicato nel 1974), soprattutto per il rapporto tra saggistica e fantasia e l’interesse nel nesso tra Meridione e vita nazionale; ma si aggiunge lo smarrimento dell’individuo, pirandelliano originariamente e portato verso altri esiti, ad esempio in LA SCOMPARSA DI MAJORANA (1975).

Ricordiamo poi, per limitare a due autori la carrellata degli esempi in questa rubrica, CORPORALE di Paolo Volponi (1974) per l’isolamento e lo slancio utopico del protagonista e la meditazione sul riflusso, ma anche la consapevolezza del rapporto contraddittorio tra ideologia, desiderio e azione sociale.

Autori come Elsa Morante (LA STORIA, 1974) stavano dalla stessa parte di Consolo, si indovina, ideologicamente; ma la proposta del romanzo popolare tout court, con la narrazione distesa, i personaggi addossati alle pagine come nelle fotografie della vita (che intendiamoci piacciono all’estensore di questi paragrafi diversamente ma non meno intensamente del SORRISO), non sembravano compatibili con l’operazione stilistica di Consolo. Simile l’impostazione, ma diversi gli esiti con riflessi di mercato. Il linguaggio era parte essenziale della dichiarazione implicita di poetica.

Si ricordano semmai, sul lato della sperimentazione linguistica, ma con focalizzazione sociostorica piú sfumata, forse, Stefano D’Arrigo (ORCYNUS ORCA, 1975); e sul versante del neoverismo Gavino Ledda (PADRE PADRONE, 1975).

La saggistica di Pier Paolo Pasolini (il 1976 è l’anno della sua morte), i testi di Italo Calvino (le perplessità di PALOMAR erano proprio di quel periodo) e le riflessioni di Edoardo Sanguineti (GIORNALINO, 1975), per restare in un alveo tra ideologia e linguaggio, facevano anch’essi da contorno.

Distante, invece, quel tipo di scrittura che avrebbe poi finito per espandersi, ma che risultava troppo semplice rispetto all’impostazione del SORRISO: Giorgio Bassani, Carlo Cassola e altri che venivano ritenuti a quel tempo, per chi parteggiava a favore di nuove vie, scrittori troppo diluiti nel linguaggio, ascrivibili pertanto a categorie senz’altro non consoliane.

In breve, il SORRISO veniva percepito, nel suo lavorio di sintesi storico-letteraria e superamento e anche per un certo orgoglioso isolamento, fin da quegli anni, un capolavoro, come esso è; destinato a restare, il che è successo; aperto nel significato e nella scoperta stilistica.


NOTE

[1] Le citazioni sono dall’edizione Einaudi, Torino, 1976.


[Roberto Bertoni]