Torino, Einaudi, 2012
La protagonista,
Manuela Paris, maresciallo degli Alpini assegnata a una missione in
Afghanistan, dopo sei mesi, nel corso di un’azione, resta ferita, esce dal
coma, ma parzialmente disabile, fisicamente per la mancata riattivazione
completa della gamba ferita, sebbene riacquisti motorietà zoppicando;
psicologicamente si applica per uscire dagli effetti del trauma, riuscendoci
lentamente. Insignita di riconoscimenti, ma esonerata dal servizio attivo, cui
invece aspirava, le viene assegnata una pensione. Nella convalescenza in
famiglia, nel luogo natale, Ladispoli, intreccia una relazione con Mattia, un
ex medico oculista costretto alla semiclandestinità perché, avendo assistito a
un omicidio mafioso e avendo riconosciuto l’assassino, è sotto protezione da parte
della polizia. Proprio perché i due
s’innamorano l’uno dell’altra, per proteggerla Mattia si fa trasferire altrove.
La storia è
narrata in parte in prima persona, con spezzoni del diario di Manuela, tenuto
inizialmente a fini terapeutici su consiglio dello psichiatra, ma sempre di più
rivelatosi esperienza voluta dall’autrice, liberatoria, di scoperta di sé; e
con una serie di lettere che Mattia, prima di farsi portare via da Ladispoli,
scrive per Emanuela, raccontandole la sua vita e chiedendole (come lei farà) di
bruciare le lettere, troppo pericolose per essere conservate. In parte la
narrazione è in terza persona, al presente indicativo, con un’angolazione
onnisciente, ma con un calo dentro l’ottica e i profili psicologici dei
personaggi.
In questa
struttura, complessa ma articolata con chiarezza, dunque fluida, s’intrecciano
i nuclei tematici di guerra ed esercito, famiglia, sentimenti amorosi, Italia
contemporanea, criminalità organizzata, ruolo femminile.
La guerra è vista
con lucidità in quanto tale, smascherando il concetto di missione di pace in
Afghanistan, ma anche entrando nella mentalità dei partecipanti, mettendone in
rilievo ideali e comportamenti, descrivendo la vita di caserma come le azioni
sul campo in modo realistico. Come indica una Nota conclusiva, particolari
identificativi di persone e istituzioni sono inventati (compreso il reggimento
di Manuela), ma quanto è inerente alla vita militare e alle forze presenti nel
paese asiatico è documentato da letture di cui, tra i volumi letti, Mazzucco
fornisce una bibliografia scelta (p. 475). L’autrice rileva utilmente di avere
perseguito una strategia di verosimiglianza, più che di realismo documentario.
Dichiara infatti: “Un romanzo è una costruzione, un’avventura, un’ipotesi. La
verisimiglianza m’interessava più della filologia, la possibilità più della
cronaca, perciò mi sono presa parecchie libertà” (p. 476).
La decisione di appartenenza della protagonista
all’esercito nasce da vari elementi. Deriva da elementi di fabulazione, che
sono nati dall’ascolto delle storie di famiglia o da letture e film nell’infanzia
e nella prima adolescenza e si sono trasformati in role models: la testimonianza del nonno reduce dalla Libia nella
seconda guerra mondiale, Amazzoni dell’America colombiana; i cartoni animati
della serie Sailor Moon; la vita di
Onorata Rodiani. Si radica negli atteggiamenti dell’adolescenza di una
ragazzina caratteriale e capobanda, che convoglia poi le sue trasgressioni
verso la disciplina e si arruola diventando un soldato esemplare, priva di vizi
e attenta ai valori collettivi. Costituisce una realizzazione personale per
Manuela, che vive in modo battagliero, ma al contempo razionale, le difficoltà
create dal fatto di essere una donna.
A questo livello
le difficoltà vengono espresse a più riprese nel corso della narrazione.
Pregiudizi quali: “allora c’erano poche donne soldato e tutti dicevano che era
una cosa innaturale, perché il destino biologico della donna è dare la vita
invece che la morte” (p. 14). Le incombenze del comando richiedono più
iniziativa personale a una donna che a un uomo: “Non potevo certo chiedere
aiuto ai maschi. Ero il loro comandante, mi avrebbero sfottuta per sempre” (p.
51); “il loro rispetto dovevo guadagnarmelo. Se sei una donna, del resto, è
sempre così” (p. 54).
I rapporti interpersonali in caserma sono, con sorpresa di Manuela, in ampia misura determinati dal genere:
I rapporti interpersonali in caserma sono, con sorpresa di Manuela, in ampia misura determinati dal genere:
“Io ero cresciuta
come il maschio di casa di una famiglia di donne, mi consideravo anfibia: stavo
bene con le femmine, e spesso diventavo la confidente delle loro pene d’amore,
ma stavo bene anche coi maschi. Dividere le persone solo in base al genere mi
sembrava un modo decrepito di vedere le cose, una questione anacronistica,
superata come le discussioni sul sesso degli angeli. Non avrei mai immaginato
di essere rifiutata dai maschi e vista come una rivale dalle femmine”(p. 58).
Quasi fossero un utile ornamento, è assegnato alle donne un ruolo di public relation
nell’esercito: “le femmine catalizzano l’attenzione dei mass media, fanno
sembrare l’esercito italiano una cosa moderna, e aiutano ad attirare
finanziamenti” (p. 61).
Rispetto alla famiglia,
un altro aspetto della tematica sociale in generale, ma più specificamente
anche e soprattutto femminile del romanzo, si nota intanto come essa sia
disfunzionale e cosmopolita. Il padre (deceduto per malattia al momento della
narrazione) e la madre di Manuela sono divorziati, lui si è risposato con una
donna rumena e c’è un fratellino di otto anni da questo secondo nucleo
familiare. La sorella Vanessa ha una figlia, Alessia, da un nordafricano di nome Youssef, che a sua
volta a una moglie in Marocco e si divide tra le due donne col loro consenso.
Vanessa ha anche altre storie; e la sua intraprendenza nel campo sentimentale
viene contrapposta alla maggiore linearità di Manuela, le cui storie importanti
sono state due: con un ragazzo con cui, arrivata alla soglia del matrimonio,
ha invece deciso di non sposarsi; e con Mattia.
La libertà di
scelta delle protagoniste giovani è indiscussa e ben presentata, con tatto,
simpatia umana e comprensione delle motivazioni, riflettendo i comportamenti di
questa generazione: “è giusto parlare di Manuela Paris perché le ragazze
italiane di oggi non sono deficienti senza valori né cervello che pensano solo
ai soldi, sono anche ragazze come lei, che hanno dei sogni e degli ideali e
soprattutto hanno il coraggio di tentare di realizzarli” (p. 6).
Anche le
tipologie maschili variano: dal soldato innamorato e che tragicamente perderà
la vita, lasciando una moglie ventenne ancora incinta; alla fuga del padre di
Manuela da una situazione familiare in cui non aveva l’affetto di cui necessitava
verso la nuova famiglia; al libertinaggio dichiarato di Mattia, che viene
peraltro descritto dalle parole dello stesso protagonista e affidato al
giudizio del lettore, non dei personaggi, stabilendo una patina d’imparzialità,
in cui tra l’altro va considerato lo spessore umano di quest’uomo che,
superficiale come sembrerebbe, percorre invece, dal momento in cui si trova a
testimoniare l’omicidio, un itinerario di maturazione nella latitanza forzata e
dovuta alla sua responsabilità civile, che gli fa infine perdere coloro a cui
teneva, la fidanzata e il figlio, impossibilitati a seguire la vita troppo
rischiosa e disumana della protezione costante, del cambiare di continuo città
e attività, del terrore della morte soprattutto per il figlioletto che viene in
effetti rapito e fortunatamente rilasciato dai mafiosi come deterrente e
minaccia per il testimone.
Se dunque abbiamo
un romanzo incentrato su un ruolo femminile altamente emancipato (Manuela, non
solo donna dell’esercito, ma anche comandante di uomini, e personalità
indipendente e autodeterminata), e il ruolo maschile della fatuità infedele è
messo in rilievo, non mancano momenti compensatori e obiettivizzanti nel
temperamento flirtante di Vanessa e nella complessità di Mattia.
Le classi sociali
sono anch’esse piuttosto delineate, soprattutto il ceto popolare della famiglia
di Manuela e quello alto borghese di Mattia. L’Italia contemporanea è percorsa
dalla speculazione edilizia colla trasformazione di Ladispoli in zona di
palazzine, tanto da farne “la città più brutta della costa laziale” (p. 22); dalla
criminalità; dall’arrivismo. Nondimeno, le scelte individuali di chi si impegna
a vivere con responsabilità e senso di autocostruzione sembrano per lo meno
preservare la dignità personale e contribuire a coagulare un minimo di valori collettivi.
Essendo questo anche un romanzo di crescita interiore, la riabilitazione di Manuela non è solo
riattivazione sanitaria; ma, forse come allegoria di ciò che conta sul
piano sociale oggi, una “terapia di disintossicazione dalle cose superflue.
Mese dopo mese, le cose importanti si sono rivelate sempre meno. Alla fine sono
rimaste solo la salute, la libertà, la vita” (p. 10).
Tale esito parrebbe portare fuori dal “limbo” che dà il titolo al romanzo; alla fine,
infatti, Manuela riflette: “sono cambiata […], non sono la stessa persona di
prima, e non potrò esserlo più. Ma non mi sento menomata. Non ho una gamba di
meno, ma una di più. Però non so se potranno capirlo” (p. 463).
Esplicitamente addotti da Mazzucco i
riferimenti danteschi per il concetto di “limbo” (p. 446), ma anche a “un videogame” in cui c’è un bambino in una
foresta che cerca la sorellina, che è sparita, si è persa, non si sa”. In
questo gioco “non si muore una volta sola, si muore spesso. Vai nel Limbo e poi risorgi. Allora ti rialzi e
ricominci dal punto in cui sei caduto” (p. 337). Allegoria, in breve, non solo
del periodo di convalescenza della protagonista, ma dell’esistenza umana e
delle sue ciclicità, oltre che della ricostruzione moderna dell’identità in
relazione alle esperienze svolte: allusivo in tal senso il nome di Mattia, scaturito,
per esplicita dichiarazione dell’autrice, dal Mattia Pascal di Pirandello (p. 442).
[Roberto Bertoni]