05/03/12

Ch’oe In-ho, LA TOUR DES FOURMIS

Titolo originale: 개미의탑 (KEMI UI TAP), 1963. Ed. francese Arles, Actes Sud, 2006; traduzione dal coreano in francese e postfazione di Patrick Maurus


Nato nel 1945, lo scrittore seulita Ch'oe In-ho ha scritto, con LA TOUR DES FOURMIS un apologo che allegorizza probabilmente la pervasitià della dittatura politica nella vita degli individui che ne vengono assaliti e invasi fino a perirne, mentre il testo si dilata, come spesso accade nel fantastico modernista, verso un ventaglio di altri significati possibili e aperti di carattere più generale e indeterminato.

La storia è breve e semplice nello svolgimento. Il protagonista scopre un mattino che l’appartamento in cui abita è invaso dalle formiche, cerca di debellarle con vari mezzi senza riuscirci, né conseguono risultati altri condòmini del suo stabile. Infine decide di offrirsi in pasto alle formiche, riempiendo di zucchero la vasca da bagno in cui si immerge e aspettando l’arrivo degli insetti che lo divoreranno.

Se la vita di questo personaggio era piuttosto normale fino al momento dell’invasione delle formiche, con una compagna occasionale all’inizio del racconto, un lavoro di pubblicitario e abitudini comuni, ecco che si capovolge, immettendosi su un sentiero che conduce lentamente al vaneggiamento e al suicidio dopo la rinuncia ai mezzi di lotta fin lì attuati.

Oltre al versante politico, vien fatto di pensare al perturbante freudiano per interpretare questo racconto fiabesco: a quanto di inquietante si annida nell’inconscio e prevale sulla razionalità.

Un lettore occidentale si richiamerà quasi obbligatoriamente a Kafka per il finale in cui il personaggio di Ch’oe In-ho, come Gregor Samsa, decide di sparire di scena, il secondo per non recare disturbo ai familiari imbarazzati dalla trasformazione in insetto, il primo perché ha perso fiducia nella possibilità di sconfiggere il nemico.

Un’impossibilità che si ritrova nel racconto di Calvino LA FORMICA ARGENTINA, anch’esso fondato su un dilagare di esseri minuti e nerastri, nella variante ligure di un insediamento rurale e col significato allegorico dell’incapacità umana di arginare la natura. In Calvino, mitigano l’incubo e inseriscono un nodo di positività l’ironia che percorre l’intero testo e il finale in cui la famiglia del protagonista si allontana dalla sede soffocante delle formiche invasive, mettendosi in vista del mare sconfinato e contemplandolo, in chiave psicoanalitica, come un’apertura su uno schiarimento del perturbante, nonché, sul piano sociale, in quanto momento di pausa dalla presenza di ciò che va quotidianamente combattuto per guadagnare terreno in una dinamica di progresso.

Sembrano lontani i tempi in cui le formiche venivano viste semplicemente come laboriose colonie ostili all’ozio. Nelle storie citate pare prevalgano sull’umano, sommergerlo.


[Roberto Bertoni]