2011. Sceneggiatura di Emanuele Crialese e Vittorio Moroni. Musica di Franco Piersanti. Fotografia di Fabio Cianchetti. Con Martina Codecasa, Mimmo Cuticchio, Donatella Finocchiaro, Giuseppe Fiorello, Tiziana Lodato, Filippo Pucillo, Claudio Santamaria, Filippo Scarafia, Pierpaolo Spollon
Se in NUOVO MONDO gli emigranti italiani viaggiavano verso il miraggio degli Stati Uniti, oggi sono gli africani, in questo film esistenzialmente e socialmente riflessivo e di alta qualità estetica, a occupare la scena delle speranze e della tragedia, rappresentati da Crialese sulle imbarcazioni clandestine, ricacciati da un’applicazione ligia alle regole ma priva di comprensione umana delle autorità portuali e della Guardia di Finanza e costretti infine anche a perire in mare se non raccolti.
L’umanità in quanto valore di compassione e disponibilità verso l’altro si realizza in collegamento al “codice del mare” e della vita, contrapposto a quello della legge che può anche risultare ottusa oltre che letale, come qui accade quando Ernesto, un pescatore anziano che si ostina a svolgere la propria professione senza cedere agli allettamenti della modernità (ottenere centomila euro se vendesse l’imbarcazione), salva dall’annegamento alcuni clandestini, che si danno alla fuga giunti a terra, e, nascondendola illegalmente nel garage della nuora Giulietta, un’etiope che dà alla luce un figlio. Scoperta la fuga degli altri, gli viene sequestrato il peschereccio. Ernesto contrappone, assieme ad altri pescatori che non derogano dalla vita che, su quest’isola di minime dimensioni (Linosa), hanno sempre condotto; e invocano il diritto di salvare vite umane seguendo i doveri di chi va per mare, spazio in cui non si lascia morire chi chiede soccorso. La storia della donna africana, carica di tragedia, si conclude con un’infrazione delle norme da parte del nipote di Ernesto, Filippo, che alla fine, per sfuggire ai controlli di polizia e permetterle di ricongiungersi col marito a Torino, dissequestra abusivamente l’imbarcazione e la porta verso la terraferma, in un’ultima ripresa del peschereccio in alto mare ripresa dall’alto: vince l’umanità sul rispetto pedissequo della legge.
Si è frattanto provocato un dramma della coscienza, perché Filippo, dopo il sequestro, per evitare altri problemi alla famiglia, aveva rigettato nottetempo in mare dei clandestini che ceravano soccorso sulla sua barca, per ritrovarne alcuni deceduti alla deriva sulla spiaggia il mattino dopo. In parte, il suo gesto verso la donna africana è di redenzione.
Contemporaneamente, oltre al rapporto tra la comunità dell’isola e gli immigranti, c’è un ulteriore altro, ovvero i turisti che arrivano in frotte due mesi l’anno. Una ragazza affittuaria della casa di Giulietta ha assistito al respingimento dei naufraghi e si trova necessariamente a giudicare Filippo, pur non denunciandolo. Lo zio di Filippo gestisce un bagno e porta in giro i turisti in barca. Qui sembrerebbe che la modernità abbia invaso la società tradizionale. Nondimeno tutte le motivazioni si esentano da un giudizio del tutto negativo sui comportamenti dei personaggi, perché la catena degli eventi ha anche un’inevitabilità. Come sopravvivere, spiega Giulietta, su un’isola che non offre prospettive di lavoro? La condizione di chi accoglie o respinge i clandestini non parrebbe in definitiva molto superiore a quella di chi arriva senza niente. Anche i turisti non sono tratteggiati esclusivamente nella loro superficialità, presentano anzi aspetti di pietà, almeno in parte, anche se la loro alienità al mondo isolano è totale.
Questa storia e documento, che punta sul rapporto tra società arcaica e modernizzazione, sulle relazioni tra diversi, sul conflitto tra norma e umanità, è scandita dalla musica notevole di Piersanti e da riprese nitide e che alternano il vicino e il lontano. Metafora è, oltre la relativizzazione e la rappresentazione dell’isolamento dell’ultima scena, la ricerca di luoghi e paesi su un mappamondo illuminato nella globalizzazione contemporanea.
[Renato Persòli]