03/06/11

Marina Pizzi, VIGILIA DI SORPASSO, 2009-2010 [61-70]

61.

era talmente in darsena finire
che quando avvenne l’epopea del sangue
nessuno accorse a liberare l’angelo
bene d’occaso da molto tempo dentro
dentro il lutto che ci rimembra vivi.
nuca di soqquadro rigore e vuoto
stare dalle parti delle aureole festive
senato chiuso in un balbettio di sfingi.
i fiori sull’orchestra sono infiniti
abiti di quiete e dietro l’angolo
la cometa con cortesia si spezza
dato che ormai nessuno la rispetta.


62.

l’autore è un gioco di persone tenui
uno sberleffo col cielo è dire poco
dacché la nenia è una risacca obliqua
sbattuta in viso allo schiavo desto.
dacché l’arbitrio della luce è il buio
con te non voglio rovistare il salice
né la penombra che abbocca alla crisalide.
è un gesto di sconfitta sapere il lido
dove la darsena è materna o altro
dato che l’abaco conta già tutto.
in gelo all’incidente della nascita
torno domani per un decente incontro
con la scissa origine del fato.
tu giammai dammi l’etichetta
per il forno crematorio di tutta la cenere.
in mano alla perizia della rotta
voglio l’inguine ingenuo della nuca
la voglia della fine di volere.


63.

la scatola bisbetica del cosmo
le voci del sale
quando all’interno bivaccano le storie
il globo del soccorso
ebbi un pane candido di stelle
il talento del giogo
quando piango con le ginestre in tasca
la mimosa gemellare.
mi metterò la cintola del guadagno
per vincere l’adagio del sorpasso
la nenia curva di piangere al segreto.
in mano alla rendita del salto
vo ladrone di selle da cortile.


64.

attorno alla risacca so il tuo nome
atto del verbo che non mi dà amore
ma colonnati invisibili di spreco.
non ho nessuno che paghi per me la retta
o lo scompiglio delle lacrime
addosso al crimine dell’ammiraglio
mozzo per delinquenza d’asma
o chissà che cosa da capire ancora
sotto la morsa della penna vuota.


65.

puoi stare con le nubi ai polsi
nessuno ti chiederà il barometro
o l’armistizio della chimera che non trovi.
l’alunno civilissimo del conto
non sa il rantolo e l’agonia costanti
verso la cosa che ci trasmette vivi.
la gerla di capir i rantolanti giochi
non basta la bravura di un ladruncolo
né il cipresso che non si piega mai.
in tutto encomio io vorrò dismettere
questa salutare erba ortolana
che bara sulla morte per un attimo.
la cenerentola che rapida si scempia
vola una nenia che non sarà più niente
nemmeno l’anfiteatro di una frottola.


66.

parla di pietra prima di delinquere
cerca la lapide prima di insozzare
le prominenti giare delle rondini.
le tirannie del ragno giocano la frottola
di fingere ricamato il mondo
quando è blasfemo il viottolo del caso
al caos. qui nella penombra s’indìca
trovatello il quadernuccio stufo delle
aste. l’agonia del fosso stipa i randagi
questo giocoforza senza la bretella
d’indice. sarai chiamato inverno senza
la polenta amata. le resine del sale
ammiccano le rondini delle fanciullaggini.
così non basta ripar le aiuole
sotto l’intruglio della foce.


67.

non crollo né realtà di vanto
stare qui sotto nella zona tolta
all’alamaro o al fato di soldati.
le resine bellissime del muro
sono qua sotto indici da nababbo
o boria per chi sa quale la cometa.
così s’ingegna la resina d’eclisse
filastrocca nana per il boia
dove ecumene è fatto di risalita.
l’anemone volgare della rotta
è qui che viene enciclopedia di mole
faro già spento per la musa accanto.


68.

offro l’anagramma per saper chi sono
sotto la truppa del tetto blasfemo
moria di me che non sono niente.
la trappola mortale del cipresso
chiami la nuca per tornar bambino
nonostante la resina del bello.
la giara che tramonta sotto la fiaccola
chiami di me un’era di montagna
una maestosa chioma di randagio.
àncora muta l’elasticità del pianto
stare in cornucopia senza la gioia
o almeno il nudo della regìa accanto.
così già muore la mia dottrina
questa trivella che non trova vanto
né dentro o fuori la velleità del muro.


69.

piango la malia che mi rese darsena
penombra di me senza l’appello
per una bravura almeno. sono al museo
del cristallo piatto. nulla da guardare
se non regìe di gole per il singhiozzo
maestre. qui nel male che ospita chiunque
si stipa la pandemia dell’effusione pece
quel raggiro che pendulo ritorna sempre
per lo sguardo occiduo del duale stare.
c’è da studiare il rimorso dell’albeggio
questo cipresso lungo più oltre il sale
che merita l’abisso. e invece i bei colori
delle bare fraintendono l’amore. il dono
muore sotto la lunatica scarpa dell’azzopparsi.
le liste delle croci hanno il silenzio
infisso. non dirmi a lungo quale sarà l’occaso
della marea bambina o il naufragio
in giro per la città che non diventa unica.


70.

la rovina del pane smesso
l’occiduo stantio quanto un amore
restato in stato di stazione
dove morente la resina del ventre
di noi ricorda la tremebonda assise
la vereconda stanza delle fiaccole
lasciate in dono di pari passo al sale.


[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010, 17-12-2010, 19-1-2011, 21-3-2011, 7-4-2011, 21-5-2011]