“Studi italiani di filologia classica”, Supplemento a VII.1, 2007, pp. 105-20
In questo articolo, che propone alcuni aspetti di una più ampia ricerca dell'autore sul rapporto tra individuo e morte, Nicosia si occupa di un fenomeno di ciclo, come si potrebbe dire utilizzando lo schema dell'eterno ritorno di Eliade, per cui la morte è un elemento dell'avvicendamento di stati che ritorna alla vita: alla rinascita spirituale prelude la tenebra del decesso e del lutto che, superati, portano a un avanzamento della psiche, così nelle iniziazioni, per esempio, ma anche più ingenerale nei vari riti delle società relativi al rapporto con thánatos.
La tematica specifica di Nicosia è quella dell’identificazione emotiva con una persona deceduta, la cui morte provoca la rinascita di colui che vi si era immedesimato, partendo da una constatazione di Elias Canetti sul suo rapporto di fratellanza spirituale con Cesare Pavese. Canetti scrive: “Quando la notte scorsa, in preda alla più cupa disperazione, ho preso i suoi diari [i diari di Pavese], […] lui è morto per me. È difficile crederlo: oggi, attraverso la sua morte, io sono rinato. Si potrebbe ricostruire il corso di questo misterioso processo: ma non voglio farlo. Non voglio toccare nulla. Voglio tenerlo segreto” (p. 106).
Il secondo esempio è tratto dalla vita di Jung che, colpito da infarto nel 1944, scrive in MEMORIES, DREAMS, REFLECTIONS OF CALR GUSTAV JUNG (New York, Random House, 1961, trad. italiana di G. Russo, Ricordi, sogni, riflessioni, 1992, Milano, Rizzoli BUR, 2006) ebbe visioni del cosmo e di un meteorite al cui interno c’era un tempio indiano, entrando nel quale ebbe la sensazione di apprendere il senso della vita e, in seguito all’apparizione del suo medico curante sotto la forma di basileus di Coo, si concluse l’apparizione lasciando l’impressione di un ritorno al mondo della falsità e del grigiore dopo aver visto la luminosità. Jung commenta: “Improvvisamente mi assalì il terrificante sospetto che il medico [che gli era comparso in quello stato di visione] dovesse morire al posto mio” (ed. it. cit., p. 348). Nicosia spiega il meccanismo psicologico: “qualcuno è morto al posto suo, e Jung può anche continuare a vivere” (p. 108).
Oltre a un esempio tratto da Joseph Karo, Nicosia si occupa di Elio Aristide (anni 117-180 circa), il quale ricevette in sogno una “profezia degli anni” da Asclepio o Apollo (la figura è incerta nello spezzone onirico), in cui si prefigurano 13 o forse 17 anni di vita rimasti. Ammalatosi diciassette anni dopo il sogno, gli appare in un altro sogno Atena che lo “rincuora promettendogli il suo aiuto” (p. 113): così si riprende ma muore il figlio adottivo al suo posto.
In tutti e quattro i casi trattati, “identico è il sentimento angoscioso della morte” e “identico è il processo psicologico che lo allevia: convincersi che la morte di qualcuno, del tutto ignaro dell’uso che di lui si sta facendo, sia il surrogato della propria, e che l’altro ‘muore al posto suo’”; e si tratta sempre di una persona cara, familiare o amico. Qui si ha una casistica particolare della problematica più generale del “morire per un altro”, di cui si occupa Nicosia in una ricerca che al momento dell’articolo era in corso di svolgimento). In queste accezioni, “non c’è l’autosacrificio generoso e amorevole, né la violenza omicidiale esercitata sugli altri, né un qualsiasi rapporto a due, ma una semplice, indolore operazione ermeneutica […]. La frequenza e la varietà dei casi documentabili in contesti diversi, indipendenti e lontani nel tempo, mostra che siamo in presenza di una struttura psicologica profonda. E spiega anche perché la psicoanalisi si ostini tanto a cercare nella cultura greca, e non soltanto nella mitologia, determinati archetipi capaci di chiarire quel mondo, ma al tempo stesso di spiegare quello che è venuto dopo” (p. 119).
[Roberto Bertoni]