17/12/10

Marina Pizzi, VIGILIA DI SORPASSO, 2009-2010 [11-20]

11.

avventura al panico del corso
quando la fanga non ricorda
né l’alveare è qualcosa da ammirare.
quando adeguarsi è un misero stemma
una stilettata di vento l’amante nero
uno schioppo d’aureola baciarti.
spaccata la fuga a regola d’arte
nessuno ama nessuno
sull’intimo silenzio del torsolo.


12.

appello di mecenate solo un chicco
d’edera, una manciata d’albe per commettere
alloro sull’arrivo dell’atleta
qual tanto piangente.
in cella sotto il rivolo di crepe
il mio bambino pena la trottola
del libero. è già prigioniero come un
adulto. un perimetro di falce lo trattiene
al salto. ma la mangiatoia del mulo
lo salverà di certo dal codice delle
mura. invano le stranezze dei vespri
umanizzano le grezze patrie i dondolii
del branco tutto a lettiga. adesso salvo
una gatta bigia per l’indizio di tutti.
tutti tranquilli giocano l’attesa.

13.

la luna inverna in un soldato stanco
qualora la viltà della caverna
abbia un abaco scosceso per il fosso.
le strisce pedonali facciano talamo
al dono della notte più pietosa.
di te ricordo la ginestra nera
giorno a strapiombo ebete per caso
i fiori lasciati al tronco che ti prese.
presumo che domani la scialba eclisse
servirà un’oasi moderna
uno zittire all’angolo del muro.
melodia del palio esserti l’amica
verso un’amaca di coriandoli e sorriso.
l’occaso finirà in alma nera
verso la manciata che anima lo spreco.


14.

è un peccato che io vada desertica
in mano a giudizi che mi scartano
tara del buio monotono dolore.
occorre tirare la cinghia per commettere
suicidio, libertà dallo spasmo dell’offesa.
È sotto un cotto mattone che si fa restio
il petto, dover subire l’onta e l’afasia
della ribellione. il tuo giudizio è un morbo
che uccide il dizionario della siepe
dal baratro. impazza l’acre sponda
del silenzio unico traguardo.
manopola di addio starti accanto
per sembrare una bambina di novena
invece di uno straccio di carestia.


15.

senza date è passato un almanacco
uno scrittore ucciso con successo
verso un poeta ucciso per due volte.
una colonia d’asma il mio insuccesso
dovuto alla smania di ritornare
verso le bocce acidule del dubbio.
in mano alla cometa che non sa parlare
sta il genuflesso stadio del ricordo
quella domenica intrisa di dolore
mendica sulla pertica del dove.
in mano alla fandonia del buon crisantemo
resta l’America senza l’approdo
verso le zone d’ombra della canicola.
tu stazza amore nel ventre della stirpe
e troverai una tanica di fumo
verso le randagie oasi a morire.


16.

in inguine al cervello
la rondine del vero
dove si annusa l’ordine del marcio
nel ripetente tratto della siepe
il verso che dà origine al diluvio.
in morte troverò un’afa nuova
una valenza duttile di scempio
dove il fratello valga una folla intera.
qui crudo il malvezzo delle nuvole
sbatte persiane dove la zona piana
narra le morti di silenzio e d’urlo.
sul tacco del calvario di una donna
piange nell’ira il rito
lo spasmo nel sudario di guardarti
bestiola di cimento per l’eclissi.


17.

in famiglia ho visto un abaco cortese
contar le mire che portano al traguardo.
tu lasciami un estro che contamini
le rotte al davanzale senza cadere.
le musiche che girano per i porti
hanno le case rustiche del suono
la manovalanza geometrica, le torri.
che bella rotta si finanzi il nome
di correre aiuole ben fiorite
i riti ben sicuri delle allodole.
in mano alla contesa del datario
sono già franco da piangere assoluto
le paratie che fiaccano il castello.
di me il ginocchio collasserà alla scala
di leggerti l’amante che non sei.


18.

in mano ad una fede da comizio
tengo vive le risorse d’arbitro
stano tutte le lacrime del fulmine.
in un cipresso di marmo la fogna
di resistere giocoliere espertissimo
di maniglie per aprire e chiudere il
diario. eresia del limbo il fianco
del perpetuo starsene bivacco
così per ripetere la sabbia
all’infinito. ora che piovono sradicate
nuvole sono il progetto della fine.
di me il soqquadro piangerà l’acrobata
bacato dalle resine che scollano
le vite adepte per chiunque sia.


19.

in giro con le frottole del giorno
torna il rammarico del chicco di grano
della borsetta vuota delle bambine.
intorno al lumiciattolo del verbo
vorrò vederti con le tasche piene
piene di gioie per le tegole che reggono.
l’alamaro in buca di guardare dio
presti rancori che si fanno agili
sentimenti agilissimi del dire.
in cuore al bassofondo di resistere
c’è mio padre che mi percuote ancora
le mani al cielo di chi è morto tanto.
le rughe alle comete della ruggine
non servono nel rantolo di chi sta
sterminio su se stesso messo a morire.
in faccia alla calamita del tuo affanno
resti nomea di non far domenica
questo gerundio darsena e fanghiglia.
intorno a me non basta che vederti
bacato dalle ronde faccendiere.


20.

in un cordiale autunno al cardine del vezzo
ho visto l’enfasi del cielo
multiplo al colore.
mille bracciali per un anatema
contro il vuoto. così una femmina
si veste per non appassire.
in agosto seguì un corso per
amministratore di condominio:
il massimo della solitudine dentro
l’ordine che evita lo sfacelo. questa cosa
la colpì come un cimitero non monumentale.
lapidi e basta, croci cumuli di terra a forma
di bara. fiori che perdono la bellezza.
in un ciondolo di perle la vivezza
della visitatrice. vanità prima di morire.


[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010]