05/12/10

APPUNTI SUL GIOCO NEL CONSIGLIO D’EGITTO DI LEONARDO SCIASCIA


[Number on a wall - what for? Foto di Marzia Poerio]


Caratteristica del gioco nel CONSIGLIO D’EGITTO è la convivenza e fino ad un certo punto coincidenza dell'idea sciasciana di letteratura con quella di impostura (gioco di trasposizione della realtà e gioco di pirandelliana inversione da parte di Sciascia di alcuni concetti guida della sua opera come quello di verità, inversione operata a fini di riconferma della verità in ultima analisi, cfr. miei altri appunti generali sul Consiglo d'Egitto), e del rapporto tra letteratura e azzardo, e financo letteratura e onirismo. Vediamo queste questioni più in particolare sotto forma di sintetici appunti di lettura [1].


1. Gioco d'azzardo collegato alla scrittura (e anche impostura e caos/ordine)

1.1

"[...] prontamente cogliendo l'occasione che la sorte gli offriva, con grave ma lucido azzardo, Giuseppe Vella si fece protagonista della grande impostura" (p. 496).

Qui l'azzardo convive con "lucidità", un azzardo paradossalmente razionale e coerente; è azzardo, si può inoltre inferire da questo brano, arrischiare l'impostura, che è tanto di Vella quanto soprattutto di Sciascia. Gioco, dunque, rischioso, momento forse di scoperta di tale rischio e della difficoltà, per l'autore (ma per qualunque autore), di condurlo senza caderci dentro.


1.2

"Nella casa che Monsignor Airoldi gli aveva fatto avere, spaziosa, piena di luce, da un lato affacciata alla campagna e con un piccolo orto recintato in cui scendeva a sgranchirsi o a fare la siesta, una camera era diventata un antro di alchimia. Giuseppe Vella vi teneva i diversi inchiostri; le colle graduate per colore, intensità e tenacia; i sottilissimi, trasparenti, lievemente verdicanti fogli d'oro; le intatte risme di vecchia, pesante carta; i calchi, le matrici, i crogioli, i metalli: tutte le materied e gli strumenti dell'impostura.
Per cominciare, aveva dislegato il codice foglio per foglio. Il mazzo dei fogli lo aveva accuratamente frammischiato, proprio come un mazzo di carte da giuoco: ché era per l'appunto un giuoco, il suo, di grande abilità, di grande azzardo" (p. 506).

La metafora della scrittura come alchimia e come gioco combinatorio è collegata all'immagine di un gioco di carte con ciò che questo comporta di casualità; come un collage, idea che a sua volta rimanda alla simile idea, della fine del CAVALIERED E LA MORTE, della letteratura come mosaico in grado di ricostruire i pezzi frammentari e caotici della realtà.

Se la falsità dell'impostura dell'abate Vella, nel CONSIGLIO D’EGITTO, distorce la realtà, essa ne riafferma al contempo la natura più profonda e intima. Nel realismo di Sciascia, la falsità, condannabile come inautenticità e opposta al valore "verità" sul piano esistenziale, è connaturata sul piano stilistico al codice della letteratura, che non è solo realismo, bensì anche "favola" (p. 627); entrambi i codici (realtà, e in questo caso storicità, ma anche codice fantastico) sono essenziali per Sciascia, tanto che convivono all'interno della stessa opera.


1.3

Sempre parlando di Vella, Sciascia scrive: "Nella sua mente era il giuoco dei dadi, delle date, dei nomi: rotolavano nell'egira, nell'era cristiana, nell'oscuro, immutabile tempo del pulviscolo umano della Kalsa; si accozzavano a comporre una cifra, un destino; di nuovo si agitavano martellanti dentro il cieco passsato. Il fazello, l'Inveges, il Caruso, la cronica di Cambridge : gli elementi del suo giuoco, i dadi del suo azzardo. 'Ma ci vuole soltanto del metodo' si diceva 'soltanto dell'attenzione: e tuttavia non poteva impeirsi che il sentimento ne fosse sollecitato, che la misteriosa ala della pietà sfiorasse la fredda impostura, che l'umana malinconia si levasse da quella polvere" (pp. 498-499).

Oltre a ribadire quanto sopra (punti 1 e 2), compare l'idea della necessità del metodo, elemento di ordine; ma anche l'idea che il metodo (l'ordine "freddo") si scontra con la passione della vita, elemento di caos; ulteriored elemento il fatto che l'impostura sia "fredda", cioè il gioco di falsificazione della realtà, e cioè la letteratura, si scontra con le passioni e anche falsificando è inevitabiled esprimere tale realtà della vita.


1.4

Il discorso su caos e ordine è così sviluppato: "Gli sbirri, si vedeva, si attardavano a frugare per amor dell'arte: l'arte di sconvolgere l'ordine di una casa, di intrigarne ogni elemento" (p. 563).

Evidentemente anche qui c'è un riferimento all'arte dello scrivere.

O forse si dovrebbe interpretare come un riferimento all'arte del leggere? (gli sbirri perquisiscono l'ordine acquisito da Vella, cercano ciò che egli ha nascosto, come Sciascia ha occultato qualcosa al lettore, ecc.).


1.5

Il gioco va da unità semplici a unità complessed e si svolge come i movimenti di un acrobata, il che, per l’uso del verbo “sperimentare”, parrebbe anche un riferimento metaletterario alle tecniche sperimentali: "[...] gli sorrideva l'idea di allargared e complicare il suo giuoco, di muoversi su una più spericolata trama, mandando avanti una scuola, tutta una scuola, su una lingua araba fondata praticamente da lui, da lui creata. Così l'acrobata passa, sperimentando un ardito esercizio, ad un altro più ardito, più dificile" (p. 516).

Quindi Il CONSIGLIO D’EGITTO è un anello per un'analisi del gioco in Sciascia in quanto equipara il gioco alla letteratura via impostura e strutturazione complessa; ma è importante anche perché la trama seguita da Vella (da Sciascia) è una trama segreta; si anticipa così il discorso del Contesto: anche le trame del contesto sono un gioco, non nel senso lieve di gioco letterario bensì nel senso di gioco di azzardo e di strategia letali, tali da condurre in prossimità della morte [cfr. gioco e complotto, più sotto].


2. Gioco, casualità e onirismo

2.1

L'abate Giuseppe Vella è un "numerista del lotto" (p. 493). Anche in altri brani di opere di Sciascia appare l'idea di lotto come casualità.

È piuttosto interessante che, in un'opera che più di altre di Sciascia affronta il nodo della letteratura come impostura e assieme della storicità e del realismo, il gioco del lotto (metafora della letteratura creativa tramite Vella autore di "impostura") venga messo in relazione col sogno: "più che un numerista il fracappellano era uno smorfiatore di sogni, dai sogni che gli raccontavano trasceglieva gli elementi che potevano assumere una certa coerenza di racconto e le immagini che nel racconto prendevano risalto egli traduceva in numeri" (p. 494).

Un aspetto della letteratura sciasciana è dunque il gioco della fantasia basata sul sogno, che sta accanto al suo realismo.


2.2

Una volta definito l'abate Vella un "numerista" ed entrati tramite il lotto nella cabala collegata all'universo del gioco, abbiamo questa rivelazione più che eloquente (e legata all'idea di vita come sogno di Calderón): "'La vita è davvero un sogno: l'uomo vuole averne coscienza e non fa che inventare cabale; ogni tempo la sua cabala, ogni uomo la sua... E facciamo costellazioni di numeri, del sogno che è la vita: per la ruota di Dio o per la ruota della ragione... E, tutto sommato, è più facile finisca col venir fuori una cinquina sulla ruota della ragione che su quella di Dio: il sogno di una cinquina dentro il sogno della vita...' Il vecchio mestiere di numerista rionale gli dava parole ad esprimere, almeno approssimativamente, la sua cabala; una cabala appena baluginante, che sfiuggiva e si spegneva nella superstizione" (p. 626).


3. Il gioco emoziona

3.1

"L'emozione del rischio era il suo [di Giuseppe Vella] elemento" (p. 508).


3.2

"Don Giuseppe si recò verso le sale dove si giuocava: gli piaceva veer scorrere nel gioco il denaro; veer scattare da una carta, da un numero, il colpo della sorte; osservare le reazioni di verse di quei gentiluomini, di quelle dame [i giocatori e le giocatrici]. Vero è ched era considerato indelicato l'assistere al giuoco senza in nulla parteciparvi: ma per un prete, cui redito e convenienza impedivano di far tavolino, si faceva strappo alla regola. E Don Giuseppe passava da un tavolino all'altro, soffermandosi dove più accanito era il giuoco. C'era poi un giuoco che gli dava più emozione: il biribissi, si chiamava, e al vincitore dava per sessantaquattro volte la posta; proibitisimo, si capisce: il che dava ai giuocatori, in più, il gusto del dispetto all'intrusa, sempre più intrusa autorità. Su una sola carta, un solo numero, a volte si dissolveva un feudo: Don Giuseppe, che non mancava d'immaginazione, veeva su quella carta, su quel numero, vivida affiorare la piccola mappa del feudo: la campagna vera, dura, concreta di rediti, senza idillio, senz'arcadia. [...]Persone segnate, persone destinate a perdere [...]. E c'erano le donne: giuocavano distratte, senza passione, quasi mai al di là del contante: onze, scudi, ducati d'argento; nel sentimento di Don Giuseppe l'argento era come la qualità, l'essenza di quel mondo femminile: voce, riso, musica, corposa e illusoria essenza, specchio ed eco; ché confusamente ne sentiva il fascino, confusamente desiderio e rispetto, malizia e castità gli si agitavano dentro. Ma senza dramma, quietamente appagandosi nell'occhio" (p. 504).

Il gioco dell'impostura, il gioco letterario, il rischio di per sé producono emozioni misteriose, fascino come in chi assiste al gioco delle carte. Questo motivo di per sé rivela un Sciascia assai meno freddo di come a volte lo si è rappresentato mentre va al contempo collegato al motivo degli sdoppiamenti: giocando questo gioco di impostura con il lettore, e anche con se stesso, l'autore Sciascia si sdoppia e si guarda giocare, mette in gioco questa parte forse oscura, un che misteriosa di sé mentre controlla l'intero meccanismo rappresentandolo (l'idea di fascino e di sdoppiamento, tramite l'immagine dello specchio, è nella descrizione del modo in cui giocano a biribissi le donne nel brano riprodotto qui sopra.


4. Gioco e complotto (e doppio gioco)

Come si osservava, la trama seguita da Vella (da Sciascia) è una trama segreta; si anticipa così il discorso del CONTESTO: anche le trame del contesto sono un gioco, non nel senso lieve di gioco letterario bensì nel senso di gioco di azzardo e di strategia letali, tali da condurre in prossimità della morte. Sul punto di essere smascherato, Vella "si diede a bruciare in cucina quelle poche carte, rimaste qua e là sparse, che in qualche modo potevano, ad un occhio esperto, rivelare qualche dettaglio del suo giuoco o soltanto darne sospetto" (p. 561).

Il gioco in tal senso è anche doppio gioco: "Gli sbirri si sparsero per la casa. L'abate [l'autore dei manoscritti scritti per impostura] e il giudice [che indaga su di lui fingendo di prestarsi al suo trucco del furto] si guardarono per un momento negli occhi, negli occhi dell'altro ciascuno lesse la misura di sé, del proprio giuoco: come stessero a tavolino, le carte di primiera in mano" (p. 562).

E ancora: "Sei una bestia. O lo fai apposta: hai capito il mio giuoco e me lo vuoi torcere contro" (p. 576).


5. Gioco come demistificazione

Il gioco di impostura di Vella finisce alla fin fine per essere demistificazione della storia scritta dalla parte del potere. Nel brano di p. 504, trascritto sopra nella rubrica "Il gioco emoziona", è indicato il rapporto tra gioco e potere politico: "il che dava ai giuocatori, in più, il gusto del dispetto all'intrusa, sempre più intrusa autorità". Il fatto che i giocatori si giochino a carte i feudi mentre il Vella li guarda è evidentemente una metafora del senso impegnato del gioco in Sciascia.


NOTE

[1] Si tratta di appunti per un saggio non ancora completato. Le citazioni sono tratte da L. Sciascia, IL CONSIGLIO D'EGITTO, 1963, in OPERE 1956-1971, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 1987.


[Roberto Bertoni]