23/11/10

Basu Chatterjee, SWAMI

India, 1977. Con Shabana Azmi, Dharmendra, Utpal Dutt, Girish Karnad, Hema Malini, Vikram. Musica di Rajesh Rosham

Saudamini, il cui nome significa “scintilla luminosa” riflette sul passato recente a partire proprio da questo nome che gli eventi in cui si è trovata non sembrerebbero confermare, avendo anzi, almeno per qualche tempo, spento la scintilla della prima giovinezza. “La sorte”, dice, “non mi ha mai favorito”: orfana di padre, è cresciuta nella casa dello zio vedovo quando sua madre è tornata a vivere lì alla morte del marito. Lo zio ha una predilezione per questa nipote e la educa alla lettura dei romanzi occidentali, la spinge a studiare. La madre vorrebbe che si sposasse appena possibile; e prima che consegua la laurea, ottiene che lo zio le trovi un marito, come avviene nella persona di Ghanshyam (il nome significa avatar di Vishnu), un vedovo ancora giovane, pio, rispettoso delle tradizioni, benestante e di buon cuore. Il problema è che Saudamini si era innamorata di un vicino, Narendra, figlio del signore della zona, che le promette ma non mantiene. Il giorno del matrimonio non la salva dal matrimonio combinato, così la giovane si sposa, ma rifiuta di consumare il matrimonio e non si integra nella famiglia dello sposo, il quale manifesta tolleranza e pazienza non pari a quelli di sua madre, che tratta Saudamini con malanimo. Ricompare Narendra sotto il pretesto di una visita a uno dei cognati di Saudamini, suo compagno di università, e le propone di fuggire con lui. Proprio mentre il treno, tra lo scandalo dei parenti, sta per partire, Saudamini, che nei mesi trascorsi con Ghanshyam ha avuto modo di apprezzarne le buone qualità, decide di tornare a casa col marito, ilo quale, cercatala alla stazione, le rivela che sapeva tutto della sua storia d’amore precedente. Da un lato Saudamini comprende che i suoi concetti di amore per il prossimo e pazienza erano libreschi mentre quelli del marito erano sentiti profondamente e praticai; dall’altra resta in uno stato di perplessità nel finale che, ricongiungendosi con l’inizio la coglie seduta sul letto nuziale con un volto inespressivo a riflettere sui suoi casi.

Ci colpisce sempre come i film in lingua hindi meno commerciali attivino interrogativi sociali ed etici, sebbene siano rivolti a un pubblico vasto, come in questo caso, sia per gli argomenti toccati, sia per l’interpretazione, affidata in certa misura all’espressività non melodrammatica del viso e soprattutto degli occhi e alla signorilità del portamento, nel ruolo della protagonista, di Shabana Azmi, un’attrice che raramente si è concessa alle storie più superficiali, anzi, più ancora negli anni della maturità che da giovane, ha svolto parti impegnate.

Questo film, vista anche la datazione, sembrerebbe confermare la sospensione dei film hindi tra rispetto dei valori tradizionali, da un lato, in questo caso la famiglia, la pazienza, la capacità di persuadere senza violenza e aspettando il cambiamento spontaneo dell’altro, valori alla fine accettati e scelti anche da una Saudamini inizialmente ribelle, per formazione intellettuale, tanto al conformismo quanto persino al concetto di preghiera e di Dio; e, dall’altro lato, una tendenza verso la modernità, qui rappresentata dal rispetto da parte di Ghanshyam delle decisioni di Saudamini, dalla preferenza per l’autenticità rispetto al formalismo e dalla contestazione dell’amore puramente romantico ma fondamentalmente insincero rispetto a quello più profondo seppure più lento a manifestarsi e meno passionale.

Ben rappresentati il paesaggio, i rituali del mattino e della sera, la cerimonia di nozze descritta nei vari atti e dettagli.

Notevoli alcune delle canzoni, in particolare YAADON MEIN WOH SAPNON MEIN HAI, cantata da Kishore Kumar, e PAL BHAR MEIN YEH KYA HO GAYA, cantata da Lata Mangeshkar.

[Renato Persòli]