Corea del Sud, 2009.Sceneggiatura: Shin Dong-Il e Lee Chang-Won. Con Baek Jin-Hee e Mahbub Alam.
Si tratta di un film sulla comunicazione difficile tra culture diverse, sul rapporto tra la modernizzazione e la tradizione e sulla trasformazione sociale e l'emarginazione in tempi di opulenza economica; ma potremo ancora citare il ribellismo giovanile e la difficoltà di comunicazione tra le generazioni, l'ipocrisia del perbenismo e altro ancora.
I protagonisti di questa storia sono la diciassettenne coreana Min Seo, proveniente da una famiglia povera di madre single, avversa a colui che è destinato a diventare suo padre, disposta a lavori improbabili pur di pagarsi le lezioni di inglese durante l'estate; e Karim, un emigrante del Bangla Desh, in Corea da tre anni, consapevole tanto della lingua quanto delle sfumature sociali, esposto a pregiudizi provenienti dalla sua povertà come pure in parte dal colore della pelle.
Dapprima alieni l'uno all'altra, diventano poi buoni amici. Sull'orlo di avviare una vera e propria relazione, la madre di lei denuncia il ragazzo che, scaduto il permesso di soggiorno, viene arrestato e presumibilmente rinviato nel paese d'origine. L'ultima scena mostra Min Seo in un ristorante bengalese di Seoul, tempo dopo gli eventi, in procinto di ordinare con competenza non certo turistica piatti di quella cucina, come se avesse assorbito la cultura dell'amico e l'avesse fatta propria, integrandola alla propria identità.
I dialoghi sono scritti con semplicità e chiarezza; e con umorismo anche in alcuni punti scabrosi. La cinepresa inquandra le scene talora a lunghezza naturale, entra negli ambienti della miseria con occhio umano ma anche documentario, registra i rumori della strada come in un 35 millimetri.
Un film dallo stile lieve e minimalista che mette in rilievo problemi seri e importanti.
[Renato Persòli]