Titolo originale FURIN TO NANBEI. Trad. di Alessandro Giovanni Gerevini. Milano, Feltrinelli, 2002.
Ciascuna delle protagoniste di questi racconti parla in prima persona e racconta un episodio, un tranche de vie, un elemento del flusso dell'esistenza, con dettagli significativi quanto apparentemente insignificanti come la televisione accesa o spenta, le foglie di un albero, o corrispettivi alimentari che suscitano ricordi o associazioni, un piatto di sandwich, una confezione di onigiri.
Sono storie ambientate in Argentina, luogo in parte della conferma di quanto ne è più noto, dal tango alla Casa Rosada al "Submarino", ma in gran parte invece area dell'anonimità, della grande città in assoluto di cui Buenos Aires non è che un esempio relativo: viali, alberghi, case, negozi, smarrimenti, incomunicabilità.
La difficoltà di rapportarsi tra partner in coppia si accompagna alla deviazione dalla norma, ambientata in setting realistici, eppure attuata con dinamiche oniriche di sviluppo narrativo. Così nel primo racconto, LA TELEFONATA, in cui la moglie dell'amante della protagonista le telefona annunciandole, falsamente, la morte dell'uomo amato da entrambe. Un commento della scrittrice rivela che i sogni "are the seeds of my work. When I do not know what to write, sometimes I find my next story in a dream" [1].
Anche in questo libro, dunque, come spesso in Yoshimoto, compare quello che Giorgio Amitrano designa "il tema della crisi familiare e del lutto" [2]. L'autrice chiarisce:
"Sono molto interessata a due cose: all’ambiente familiare che costruisce una persona e ai fattori innati nella persona stessa. Questi sono i due elementi che ci formano, e se uno pensa a queste cose viene gioco forza pensare sia al destino che alla morte che sono i fattori chiave dei miei romanzi. E quando dico morte non parlo della mia morte personale ma di quella delle persone che ci sono care, che ci sono vicine e in questo senso c’è la morte nei miei romanzi ma non il timore" [3].
Tramite il confronto, si determinano anche livelli di comunicazione e maturazione dei personaggi narranti, come in HONEY MIELE, in cui la protagonista dialoga con una delle madri della Plaza de Mayo sugli orrori della dittatura militare e annuncia con semplicità e in quanto dato di fatto: "È così che sono sparite più di trentamila persone" (p. 71).
Dal correlativo oggettivo costituito dai dettagli di cui sopra, dalla natura, dagli alimenti, dal paesaggio urbano, si innestano le sensazioni, vissute, anche quelle, prevalenti, di malinconia, in parte come constatazione dell'esistenza del malessere e in parte come presa di coscienza. Ancora in HONEY MIELE, "la tristezza è un male incurabile" e "una tristezza superiore a un'altra" (p. 71), ma c'è l'enormità degli eventi che incrementa la consapevolezza della storia (la tragedia argentina), mentre su un altro piano, quello del fatto di provare sentimenti, l'incontro casuale con la donna che ha perso il figlio si associa al ricordo, da parte della protagonista, di sua madre, all'accudimento, per contrasto, che prestava verso la figlia da bambina versandole la bevanda che chiamava stranamente, come nel titolo del racconto, "honey miele" (p. 73). Così il passaggio dalle madri della Plaza de Mayo alla dimensione personale della narratrice non risulta irrispettoso o superficiale, al contrario è legato dalla tela di un'umanità che nella sofferenza ricorda anche il nodo di tenerezze dell'infanzia e della cura.
È vero quanto dice di sé l’autrice: "Mostly I write about people who live remote and distant lives" [4]. Ed è questo sentimento di distanza che crea lo straniamento tale da rendere esemplari le vicende proposte.
NOTE
[1] An Interview with Banana Yoshimoto.
[2] Un'intervista a Banana Yoshimoto.
[3] Banana Yoshimoto.
[4] An Interview with Banana Yoshimoto.
[Roberto Bertoni]