01/05/10

Ivano Mugnaini, GATTI ROSSI


["I was behind the curtains, looking at that story". Foto di Marzia Poerio]


Fummo svegliati da un canto urlato, quella notte. Così angelico, quasi asessuato, che rimanemmo incantati, prima di alzarci di scatto inferociti. Quell’attesa, caseggiato dopo caseggiato, era sufficiente a quel corpo e a quella voce per allontanarsi.

Andai al lavoro più rintronato del solito. Non fino al punto da non notare un particolare: i gatti che incrociavo erano tutti rossi. Soffici, grassi e dal pelo fulvo. Tutti di buon umore. Mi guardavano e ridevano, sotto i lunghi baffi, come per dirmi “Non capisci niente, vero?”.

Non potevo smentirli. Proseguii, dicendomi che si trattava di un caso: ai gatti di altri colori non avevo prestato attenzione. Al lavoro quella mattina erano tutti cortesi. Perfino la segretaria Contelli, detta PH, Quoziente di Acidità. Giudicai anche quella una benevola coincidenza. In quel preciso istante la udii di nuovo. La musica, il canto celestiale. Pensai ad una radio accesa. Ma nella nostra ditta le radio erano state bandite fin dalla fondazione.

Sentii il bisogno di solidarizzare con qualcuno.

“Stavolta l’ho quasi preso”, bisbigliai al mio vicino di scrivania.

“Hai preso chi?”, replicò sbadigliando.

Iniziai a sospettare che anche l’ascolto della serenata notturna non fosse stato condiviso da nessuno. Diedi la colpa allo stress, e decisi di prendermela più comoda. Ma continuavo a percepirlo.

Oggi, venerdì 7 maggio, sento che è arrivato il momento di parlare con un esperto. Nella nostra cittadina c’è un solo psicologo, anzi, una psicologa, Stefania Ermiani. Prendo un appuntamento. È bella, colta, con una luce calda negli occhi. Trovo il coraggio di rivelarle tutto. Mi ascolta in silenzio, si alza lentamente e mi sfiora le spalle.

“Dottoressa, io la musica la sento... adesso!”

“Questa è reale. È la filodiffusione. Non devi preoccuparti, va tutto bene”.

Mi giro e non c’è più. Rientra qualche minuto dopo, con una camicia di seta. Si mette a cantare. Fluida, intonata, angelica, quasi asessuata. È lei, stavolta, che confessa a me: “Sai, neppure io sono tanto stabile mentalmente. Per averti sono diventata sonnambula. Ho scommesso che sarei riuscita ad essere più rapida dell’amore. Passandogli accanto, ad un palmo, per poi schivarlo, lasciandogli solo aria impalpabile. Ho perduto. Sono qui, immobile, pigramente vinta. Mi sento come il mio Vincent”.

Così dicendo allunga la mano sotto il tavolo per accarezzare un soriano, soffice, grasso, dal pelo fulvo, che si sposta quel tanto che basta per lasciarmi vedere la sua faccia e i lunghi baffi frementi.

Senza volermi dire niente di più e niente di meno della gioia arcana della sua risata.