09/04/10

Cristina Cona, LA LINGUA IDEALE

Personaggio illustre ma praticamente sconosciuto all’esterno del mondo neerlandofono, Simon Stevin merita di essere ricordato per il suo contributo tanto all’arricchimento della sua lingua materna, quanto alla democratizzazione del sapere scientifico. Chi era dunque costui?

Nato nelle Fiandre nel 1548, Stevin fu dapprima contabile (introdusse nei Paesi Bassi il metodo italiano della partita doppia), poi ingegnere e matematico, e infine insegnò all’università di Leida; uno dei più importanti scienziati del suo tempo, si distinse per il suo sapere enciclopedico e l’enorme versatilità delle sue realizzazioni sia concrete che teoriche. Interessato alle applicazioni pratiche della matematica, che illustrò nel libro DE THIENDE (uscito nel 1585), in cui esponeva il funzionamento del sistema decimale (allora pressoché sconosciuto in Europa) e ne propugnava l’uso nei calcoli e nelle misurazioni, pubblicò in seguito altre opere di grande importanza su diversi argomenti scientifici, fra cui i principi della statica, dell’idrostatica e della meccanica, che si caratterizzano fra l’altro per essere scritte in olandese (“Duytsch”, o “Neerduytsch”, come si diceva all’epoca) e non in latino, lingua della cultura e della scienza per antonomasia. Stevin trovava infatti assurdo che la conoscenza di certe cognizioni matematiche e scientifiche dovesse passare per l’acquisizione di una lingua straniera, per di più morta: in tale modo l’accesso al sapere veniva di fatto limitato alle classi più colte e ne restava esclusa la gente comune. E del resto, quando nel 1600 fu nominato docente a Leida, provocò notevole scalpore facendo lezione - fenomeno unico nell’Europa di quei tempi - nella lingua nazionale anziché in latino.

Il contributo di Stevin alla democratizzazione del linguaggio e, con esso, del sapere scientifico fu però radicale anche e soprattutto sotto un altro aspetto: egli infatti è passato alla storia per avere messo in auge una terminologia matematica e scientifica specificamente olandese, o servendosi di parole preesistenti o coniandone di nuove. Anche alla base di questa scelta vi fu un bisogno di chiarezza e di accessibilità: i vocaboli scientifici creati ex novo nel resto d’Europa erano prestiti dal latino, greco e arabo, e in quanto tali oscuri per chi non conosceva queste lingue e li imparava meccanicamente senza comprenderne l’essenza; utilizzando e combinando termini dell’olandese comune il significato risultava invece immediatamente evidente a qualsiasi neerlandofono. Così, mentre per designare le linee parallele e l’orizzonte sia le lingue neolatine che l’inglese e il tedesco ricorrono a soluzioni calcate sui modelli “parallel” e “horizon”, Stevin coniò rispettivamente “evenwijdig” (di medesima larghezza o distanza) e “gezichtseinder” (linea dove termina il campo visivo).

Un’altra motivazione che spinse Stevin a scrivere in olandese e a creare una nuova terminologia fu il desiderio di contrastare il fenomeno della cosiddetta “taalverbastering”, o corruzione della lingua: nell’uso quotidiano tendevano infatti ad imporsi sempre più i calchi dal francese anche quando esistevano parole olandesi perfettamente adeguate ad esprimere determinati concetti. (Un esempio fra tanti, tratto da un documento del 1618: “... capabel om alle importuniteit te excuseren, sal by desen de vrijheit nemen van haere importante occupaties te interromperen ...”). La battaglia condotta da Stevin per la purificazione e l’arricchimento dell’olandese (particolarmente con la pubblicazione del libro UYTSPRAECK VAN DE WEERDICHEYT DER DUYTSE TAEL nel 1586) si inserisce del resto in una più generale visione del mondo, tipica del suo secolo, in cui le influenze culturali del Rinascimento, dell’affermarsi della coscienza nazionale e della Riforma protestante contribuivano a diffondere l’esigenza di una lingua nuova e chiara che potesse diventare patrimonio di tutti. In questo senso, nelle aspirazioni al rinnovamento e alla trasparenza che lo ispiravano, il contributo di Stevin fu per molti versi affine al lavoro di divulgazione delle Scritture svolto nello stesso periodo dai traduttori della Bibbia in volgare.

Simon Stevin realizzò dunque un vero e proprio lavoro di traduzione letterale dei concetti solitamente espressi mediante la terminologia di derivazione latina e greca, sfruttando a fondo le possibilità semantiche offerte dalla lingua olandese, che considerava molto adatta, anzi ideale, per l’utilizzo nel discorso scientifico. A sottendere questa sua convinzione era l’ipotesi, condivisa da diversi suoi contemporanei, dell’“oertijd”, mitica preistoria in cui gli esseri umani avrebbero posseduto una conoscenza istintiva e universale dell’essenza delle cose: conoscenza poi andata perduta, con ogni probabilità contestualmente alla babelica confusione delle lingue. Infatti, secondo Stevin, l’umanità primitiva si era servita di un’unica lingua (“oertaal”) costituita di elementi semplici, monosillabici, corrispondenti ognuno ad un concetto; combinando questi elementi di base per formare nozioni via via più avanzate, i nostri antenati avrebbero creato parole che esprimevano l’essenza del concetto sottostante in maniera direttamente comprensibile a tutti. A suo giudizio il “Duytsch”, caratterizzato da una grande quantità di parole monosillabiche, era più o meno lontano erede di questa lingua originaria e pertanto particolarmente indicato per trattare le questioni scientifiche, non solo nei Paesi Bassi, ma in tutto il mondo civile. Se perciò da un lato i vocaboli da lui creati possono considerarsi traduzioni dal latino e dal greco, dall’altro lato li si può vedere come una traduzione e al contempo un proseguimento ideale dall’“oertaal”.

Il lavoro di divulgazione intrapreso da Stevin sulla base di questi criteri ricevette il sostegno del principe Maurizio d’Orange, di cui divenne dapprima precettore e poi consigliere quando, durante la guerra contro la Spagna, risultò necessario formare un corpo di tecnici qualificati per la costruzione di fortezze e pezzi di artiglieria: giovani del popolo ai quali era necessario insegnare le applicazioni pratiche della matematica in una lingua loro accessibile. La creazione di un apposito lessico scientifico in olandese ricevette poi un forte impulso dall’espansione della navigazione marittima e dell’esplorazione di nuovi oceani e continenti, attività in cui i Paesi Bassi primeggiarono diventando una grande potenza. Geometria, topografia, cartografia, astronomia: tutti questi rami del sapere dovevano venire messi alla portata di capitani e piloti, e i manuali si servirono ampiamente non solo delle scoperte e invenzioni di Stevin, ma anche dei neologismi da lui introdotti.

Fra questi, alcuni termini sono ormai caduti in disuso, ma molti altri sono entrati definitivamente nel lessico olandese. Ricordiamo wiskunde (matematica: da wis, preciso, e kunde, conoscenza: dunque, scienza esatta), scheikunde (chimica: scheiden = tagliare, quindi scomporre o analizzare), meetkunde (geometria: meten = misurare), driehoek (triangolo), raaklijn (tangente: da raken, toccare + lijn, linea), evenwicht (equilibrio: da even, eguale + wicht, peso).

Un’ultima curiosità: la parola “gas” è anch’essa olandese, pur essendo stata coniata non da Stevin ma da un altro scienziato fiammingo: il chimico bruxellese J.B. Van Helmont (1577-1644). Per lungo tempo si era creduto che egli avesse fatto derivare “gas” da “geest” (spirito), termine che avrebbe designato i vapori fuoriusciti dalla storta nella quale venivano effettuati gli esperimenti di distillazione. Oggi invece sembra assodato che si tratti di una sua trasposizione fonetica in olandese del greco “chaos”.


FONTI:

M. Bakker, HET NEDERLANDS ALS IDEALE TAAL IN DE WETENSCHAP, “De Ingenieur” 2,1994.

A. De Cock, SIMON STEVIN, Gent, Boekhandel J. Vuylsteke, 1888
(WEB REF.).