15/01/10

Wu Tianming, BIAN LIAN

1996. Titolo inglese THE KING OF MASKS. Con Zhou Renying, Zhu Xu, Zhao Zhigang


Bian lian è l'arte cinese di cambiare maschere senza che si noti minimamente il passaggio da una all'altra. Viene esercitata soprattutto nel Sichuan. Oltre che nel film, se ne possono vedere alcune rappresentazioni in rete [1]. È un'arte tenuta segreta e trasmessa per via di lignaggio: o a un altro discepolo non imparentato in casi eccezionali.

Nel film, l'anziano Wang, che rappresenta il suo spettacolo di maschere per strada, restato senza eredi a causa della morte del figlio e con una difficile storia familiare alle spalle anche per l'abbandono da parte della moglie, cerca un orfano da adottare per poter continuare la professione. Ne trova uno in un luogo della città in cui i bambini vengono venduti da parenti poveri o da individui avidi (e questo, anche, pare uno degli elementi di denuncia di questa pellicola). Quando Wang scopre che chi ha adottato è una bambina, tuttavia, non può insegnarle il bian lian, perché esso, secondo la tradizone, si eredita solo per via maschile. Insegna alla ragazzina a fare l'equilibrista e la tratta ormai un po' burberamente, anche se si vede fin dall'inizio che Wang è una persona di buon cuore, si prevede dunque un lieto fine... Che non arriva, però, se non dopo varie traversie: la bambina viene rapita da un procacciatore di orfani, riesce a fuggire con un bambino anch'egli prigioniero, porta il bambino a casa di Wang e si allontana sconsolata. Wang crede che il destino gli abbia fatto ritrovare quel che cercava. Non trova la bambina, frattanto la polizia lo arresta per il rapimento del maschietto. Solo quando la bambina, il cui nome è un soprannome, "Cagnolino", minaccia di uccidersi sul palcoscenico dell'opera (come ha visto fare per finta in una rappresentazione) per convincere l'amico influente di Wang, un attore, ad aiutarlo, le cose prendono un nuovo corso, l'equivoco di chiarisce, Wang torna libero e insegnerà la sua arte proprio alla fanciulla.

Si tratta di un ottimo film, poetico e umano, che non perde mai, però, il contatto con la realtà rappresentata, con la vita materiale e col paesaggio, mentre al contempo propone aspetti di intelligente metanarrazione, coll'opera rappresentata en abyme come sineddoche del cambiamento di maschere, ma diversa da quello se il protagonista respinge l'offerta vantaggiosa del cantante di unirsi alla compagnia d'opera che gli faciliterebbe economicamente la vita, rivendicando l’autonomia del suo mestiere.

Il film è centrato anche su altri temi: il rapporto tra l’età anziana e la fanciullezza, vissuto con difficoltà e risolto infine per il meglio; l'esclusione delle donne dalle arti tradizionali, un tabù che la persistenza umana della piccola protagonista convincerà il maestro di bian lian a mutare. Un passaggio, quindi, nella modernità, intriso di conoscimento e consapevolezza dell'antico e della tradizione.

Il film è girato in parte sull'acqua, dato che la casa di Wang è una barca, e in parte tra le zone diroccate e povere di una città cinese. Gli attori, compresi i piccoli, sono eccezionalmente capaci ed espressivi. Viene evitata ogni melensaggine: la commozione è sollecitata con mezzi comuni ed eufemizzati.

Sembra prevalere l'idea che in un destino di difficoltà i rapporti umani possano salvare. Come non aderire a questo messaggio etico?


[1] Cfr. FACE CHANGING.


[Renato Persòli]