19/01/10

Marina Pizzi, L’INVADENZA DEL RELITTO, 2009 [20-29]

20.

sul suolo delle ceneri sarà scaduto
il panico. sì sì di dirà per una crosta
da ricominciare. di te sparuto incomincio
a piangere e dico no alla staffetta d’anima
che finge la presenza.
così vicino al tono della fronte
in mare c’è la salma del verdetto
l’autunno tonico che festeggia sé.
in tutto il mare chiuso dell’espianto
tutta la carriera di una foglia
al soldo delle scienze senza cuore.
alunno nella pelle il tuo ristoro
sempre ad imparare un nome
un estro di aggettivo. vola la giostra
un indice di vetro tanto per non trattenere
nulla. in pace sulla raffica del vento
sono canuto-caduto e non mi rialzo
più. ridi di me nudità dell’aria.


21.

la rondine che stacca le reliquie
ci fa il nido. la muffa sull’ananas
fa la colpa della casa vuota. nessun
menu è appeso in cucina.
si rantola dappresso nella polvere
del torto. qui le belve dell’aria
sono molte in lite costante.
dapprima il grembo consolava
la lava della scuola la lavagna
col battito del cuore di scudiscio.
ora la vena è immobile e la scienza
un arato di ruggine. quale gelo
chiami nel sonno? quale gerundio
vuoi che non sa darti? eppure muore
l’almanacco e si fa sfinge il fuoco.


22.

era un volto audace
peripezia d’amore
incauto alamaro
apolide di divisa anarchico.


23.

gli occhiali che celano lo sguardo
sono un atto di riparazione
una clausura libera e imposta.
nel buio androne della cornucopia
si paga la copia della gioia per il dolore
l’arena fiacca di perdere conchiglia.
tu che stai in ernia di distacco
appisola di me questo verdetto
in apice di stallo.
consola l’erba chiara della gemma
la frottola scura di perdere la vita.
l’anonima balbuzie di quel rigagnolo
è tutto ciò che può restare
alla stazione credula del fato.
di me combatti l’indice blasfemo
il torcicollo con nemico al seguito.


24.

butto il sangue al collo della ruota
e me la rido con la faccia corta
storta qualora ne piangessi un poco.
nessuna scuola equivale al vero
del frate giovane nudo sotto il saio
a dondolo di elemosina a via Chiabrera.
il sogno di darti l’armistizio
da quando mieti la calvizie
nessun fantasma eviti.
qui da adesso in fatto di risaia
opponi la radura della fame
insaziabile prodezza di se stessa.
e viene autunno a sconsolarti un poco
breccia per i rantoli che arrivano
in pece al sacco della città intera.


25.

un orlo di mestizia mi riguarda
loquacità del sale erba satanica.
con te non ebbi che gerle di stellacce
intorno al mare che si fa di stagno
dentro la darsena che lo estingue.
se per davvero il varo discutesse
di servi della gleba e bambole di carne
le bombole del gas avrebbero fretta
di scoppiare. appianato risparmio
questa passeggiata sterile. tu non ricordi
la resina del tarlo la malvagità del giro.
qui in fondo si sta come medesime
ripetenze al fango. il grido d’ascia
è la simbiosi del davanzale che tonfa
tonfa l’avventura stabilita. in bilico
ti vedo attore afono per la gogna del golfo
mistico. quale faccenda succederà
al futuro della frana? quale intoppo
per una scatola di cerini umidi?
le gole smilze dei poeti
tacciano per sempre.


26.

una clessidra a forma di piramide
non è possibile. eppure è bello
sfamare le grotte-darsena solo
con la voce. il cielo in fretta si frantuma
un poco quasi per rispettare infanti.
alunni della noia sempre più perfidi
sfidano la fede del cuore in battito.
stramorto quale un indice d’inedia
il fido dio all’orlo della specie.
tu di domenica guardi l’orologio
con gioco liberato. la meridiana
tragica sul muro ha perno d’osso
che non sa d’umano. i pugni
alle saracinesche di notte
sanno amarsi con il vicolo cieco.


27.

entità di strazio
le rose rosse sul feretro
tu compagno di meraviglie
nelle veglie di trovare
acerbi barlumi di gatti.
padre del sonno che viene dal farmaco
prendimi la mano per gettarmi via
oltre il capostipite del perno
che trattiene la vita nonostante
questa stangata sia una malevola
libertaria trappola. indice blasfemo
il mio gerundio tramutato in dio
senza saperlo. mendicante il tatto
della nuvola di pioggia dove si arrende
la novità del fare e del disfare.
qui l’anonimo dubbio che fa farfalla
la falla del ben certo rantolo
senza rimedio il tuono che plasma
la fanciulla senza mai domarla.
l’eredità del prospero non coincide
con la cornice a vanvera del bello.


28.

qui si piange d’avarizia e rantolo
lezione strenua, eremo e condanna.
in base alla faccenda della finestra
volare è possibile per la bile
di un attimo
col tonfo che straccia nella pozza
il sangue. gendarmeria di Ulisse
questo imperfetto sale.
legàti dalle gabbie delle spose
questi malfidi resti giovanili
vanissimi camposanti ora di fati.
fino all’aureola di credere negli angeli
vive la bettola degli alunni oscuri
bacati dalla rendita dei morsi
verso la noia morsi. tu non trattieni
che logiche del tedio verso le onde
che non sanno Venere né sanno
il remo di arcuare bene
le schiene innamorate.


29.

mio padre morì con i calzini da tennis
aveva freddo ai piedi
glieli infilai che pareva un Cristo
che deglutiva paura.
Filippo morì dopo l’alba
chissà come avvenne
io non c’ero, ero a disperarmi
nella normalità dell’attendere.
ora che restano le ceneri murate
gli anni sono passati sopra i miei
capelli bianchi. indenne non è nessuno
e la chimera atavica del sogno
è lì che se la ride immortale.
con le geometrie dell’acqua
vado a piangere convulse elemosine
di resistenza.



Le sezioni 1-10 e 11-20 dell'INVADENZA DEL RELITTO sono state pubblicate su "Carte allineate" in data 3-11-2009 e 15-12-2009.