29/01/10

Cesare De Marchi, LA VOCAZIONE

Luigi Martinotti, mancato il padre e unitasi la madre a un altro uomo, non ha potuto continuare gli studi fino all’università; si è così trovato a svolgere vari lavori non qualificati e al momento in cui inizia il romanzo, a trentasei anni, lavora presso un fast food di Milano, è fidanzato con una collega, Antonella, che ha un figlio piccolo, forse nato da padre sconosciuto se in un brano Luigi sospetta che tempo prima arrotondasse lo stipendio facendosi pagare da uomini che frequentava. Antonella risulta senz’altro innamorata di Luigi e vorrebbe portare la loro relazione verso la convivenza, una scelta che il protagonista procrastina. Luigi ha un amico, Giuseppe, affetto da paralisi progressiva, insegnate in una scuola superiore e coinvolto in storie d’amore con ragazze giovanissime. La passione di Luigi è la storia, un interesse che persegue con ostinazione, recandosi in biblioteca tutti i giorni, anche di sabato e domenica. Il suo argomentto principale è l’invasione degli Unni, tuttavia, su consiglio di Giuseppe, inizia a occuparsi di Luigi XII di Svezia: scrive in proposito un saggio e lo fa leggere (almeno così sostiene) allo storico Ruggiero Romano, che lo invita a casa sua, lo incoraggia a proseguire, ma muore poco dopo. La vita di Luigi sembra incagliarsi a questo punto. Per uscire dalla povertà decide di compiere un atto disperato. Mentre Antonella va in ferie col figlio, Luigi si reca a Genova, segue una domestica filippina che conduce una carrozzella, rapisce in un momento di distrazione di lei il bambino che ella cura e chiede il riscatto. Il giorno in cui deve riscuoterlo, invece di lui lo incassa un altro e i giornali confermano che era quest’ultimo il colpevole. Luigi si costituisce, ma risulta dall’interrogatorio che ha inventato tutta questa storia anche se crede che sia vera, basandosi sulla lettura di articoli su fatti realmente accaduti sul “Corriere della sera”. Viene ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Cogoleto, il cui primario lo spinge a tenere un diario, gli prescrive sonniferi e tranquillanti e gli presta dei libri di storia. Luigi fa amicizia con Paolo, un infermiere dal lato umano. Antonella lo va a trovare e gli lascia un cellulare, ma Luigi sembra sempre più indifferente al mondo esterno. Giuseppe si suicida e quando Antonella dà la notizia al fidanzato e questi ne parla col primario, la crisi mentale precipita, si rifugia nella pazzia, dimentica nomi e fisionomie.

Il romanzo delinea la precarietà giovanile sul lavoro insieme al tentativo di condurre una vita che preveda la possibilità del sentimento e di livelli di normalità in una situazione anomala come quella delineata in questa storia, eppure tanto comune da fare dei due protagonisti dei personaggi lukacsianamente tipici.

L’alienazione conduce al ritiro in sé e alla follia: qui si apre la seconda finestra sociale del romanzo, quella sul mondo dell’alienazione mentale, decenni dopo Basaglia, superata da tempo, come indica De Marchi, la fase della reclusione forzata e in condizioni disumane che era propria degli istituti di cura di questo tipo prima degli anni Settanta, prima cioè che venissero aperti e la reclusione si facesse volontaria e riservata solo a certi casi. La presentazione della Casa di Cogoleto nei nostri anni è nel complesso abbastanza positiva, con un infermiere animato da buoni sentimenti, un primario non troppo satirizzato, gli altri degenti (dodici e non più duemila come nel periodo di massima espansione) delineati con abilità descrittiva dei loro mali senza sminuirne le qualità umane.

Nel mondo globalizzato e alienato attuale, la pazzia è un elemento tra gli altri. Come spiega uno dei pazienti, può accadere da un momento all’altro ed essere poi di nuovo sostituita da periodi lunghi di lucidità.

Nel caso di Luigi, si direbbero responsabili della sua caduta nell’alienazione mentale due fattori: la disgregazione della famiglia, che ha provocato il disamore della madre e altre carenze affettive, la difficoltà anche ad amare la fidanzata; e la mancanza di prospettive di evoluzione intellettuale tramite la scolarizzazione terziaria e di evoluzione tramite un lavoro più interessante.

Il libro è scritto in terza persona, ma adotta il punto di vista del personaggio. I flussi di pensiero si alternano alla narrazione delle vicende. Efficace la naturalezza con cui viene reso il passaggio da una condizione mentale non affetta da problematiche psichiatriche alla caduta nella malattia.


[Roberto Bertoni]