Da LE MISANTHROPE OU L'ATRABILAIRE AMOUREUX di Molière (1666) a THE MISANTHROPE (2009) tradotto e adattato modernamente da Martin Crimp intercorrono più di tre secoli, ma come spesso nei classici si manifesta, anziché la perdita, piuttosto l'acquisizione di attualità.
Se Alceste, in Molière, si differenziava dall'aristocrazia, in questa versione, rappresentata al teatro The Comedy di Londra, prende le distanze dal mondo dello spettacolo e della superficialità mediatica, rappresentate essenzialmente, come nel commediografo francese, dalla protagonista femminile, che però qui è un'attrice americana, intenta a intrighi amorosi e narcisista, che respingerà, nell'eterna ripetizione del testo, la proposta di Alceste, non dell'esilio come in Molière, questa volta, ma di una vita comune in una casetta dei sobborghi con giardino e figli, da lei vista con orrore, scegliendo invece le luce della ribalta.
L'onestà assoluta e la gelosia di Alceste risaltano come momenti al contempo di coerenza e difesa dei valori derisi dalla postmodernità in cui viviamo, dall'altro riflettono una rigidità che non aiuta a condurre la vita in modo indolore. L'amore, con la sua irrazionalità, che spinge verso l'attrazione per persone non necessariamente le più compatibili, è ciò che mette in crisi Alceste anche nella versione di Crimp.
La traduzione è interessante non solo per la trasposizione moderna di alcuni dei nomi propri, delle ambientazioni, dei valori e della naturalezza del quotidiano, ma per il fatto che è scritta in versi a rima baciata, che la recitazione di chiara dizione e di buona qualità rende scorrevole alla ricezione del pubblico.
Restano, oltre a questo elemento metrico, altri omaggi alla tradizione, soprattutto la scena finale, una festa in maschera in cui un servitore parla in francese e gli altri personaggi sono vestiti da maschere del XVII secolo, mentre Alceste resta in abiti contemporanei ma col suo nome molièriano, col che si crea un ponte tra passato e presente.
Noti gli attori, in parte proveniente dall'esperienza prevalentemente cinematografica e televisiva: Damian Lewis, ben adatto, ci è parso, alla parte di Alceste; Keira Knightkey, non sempre del tutto credibile nell'accento americano, ma con qualità di presenza scenica; di stampo più prettamente teatrale, forse, le impostazioni di Tara Fitzgerald, Kelly Price, Dominic Rowan. Un melange ben riuscito sotto la regia serrata e fluida di Thea Sharrock.
[Renato Persòli]