21/11/09

Wong Kar-Vai, FALLEN ANGELS


[Falling Angel. Foto di Marzia Poerio]


Wong Kar-Vai, FALLEN ANGELS, 1995. Con Takeshi Kaneshiro, Leon Lai, Karen Mok, Michelle Reis, Charlie Young.

Composto di due storie intrecciate, il film deriva da una parte espunta di CHUNGKING EXPRESS.

Nella prima storia, parodia dei film polizieschi, ma studio su una vera disperazione e un concetto di crimine come apparente normalità, Ming (Leon Lai), un killer che funge anche da voce narrante, afferma la propria professione come un’occupazione qualunque; così anche la sua socia (Michelle Reis), seconda voce narrante di questa storia, che procura Ming gli omicidi e dice con nonchalance: “Gli altri lavorano dalle 9 alle 17, per me è il contrario”. Ming uccide varie persone e si rifugia in un luogo sicuro; la socia conduce un'esistenza solitaria con punte di disperazione. Tra i due esiste un rapporto sentimentale irrisolto. Quando Ming riapre una relazione con Punkie, una ragazza bionda (l’attrice Karen Mok), riconosciutesi questa e la socia casualmente in un sotterraneo dal profumo uguale che indossano, si arriva a un chiarimento con la decisione di lui di chiudere i rapporti con la socia sebbene accetti di farle un “ultimo favore”, in cui perde la vita.

Il protagonista della seconda storia (l’attore Takeshi Kaneshiro) è muto, sgozza maiali di notte, guida un furgone di gelati e vende verdure. Di madre russa, il padre lavora come portiere e cuoco alle Chungking Mansions e proviene da Taiwan come la donna bionda della prima parte del film di Wong Kar-Vai, CHUNGKING EXPRESS. Il protagonista è privo di voce come lo vediamo nel film, ma narra come voce fuori campo con un che di paradossale. Incontra Charlie (l’attrice Charlie Young), una ragazza furiosa con un’altra, denominata “la bionda”, che sta per sposarsi con Johnny, l’ex fidanzato della prima. Si intendono nonostante la difficoltà di parola, col muto che le presta delle monete per telefonare alla rivale; vanno a casa della bionda, ma non la trovano per quanto la cerchino tutta la notte. La ragazza sfoga la rabbia su una bambola di gomma. Finiscono poi in un ristorante notturno in cui scoppia una rissa. Il narratore dà una determinazione di tempo, il 30 maggio 1995, e dice di essersi innamorato di quella ragazza proprio quella notte. Questo racconto finisce con Charlie che cerca di consolarsi col nuovo fidanzato, ma sente ancora nostalgia di Johnny e lascia alla fine il ragazzo muto. Il ragazzo muto, mentre stranamente nota che schiarisce da bruno a gradualmente biondo il colore dei suoi capelli, decide di cambiare vita e apre un locale che si chiama (con riferimento al film precedente di Wong Kar-Vai) “Midnight Express”.

Qui si incrociano le due storie, quando Ming va a mangiare nel nuovo locale. Si rintrecciano quando, incontratisi il ragazzo muto e la socia di Ming in un locale invaso da una rissa, lei gli chiede di accompagnarla in moto a casa. Alba, la moto esce da un tunnel nelle prime luci, fine della pellicola.

Un panorama urbano caratterizzato dalla presenza da dimore ristrette e innestate nel corpo della città di notte: davanti a un cavalcavia su cui passa una metropolitana di superficie, dentro ambienti privi di finestre. La strada è presente con notturni ripresi da carrellate che evidenziano la fuga dei neon e dei colori delle vetrine, quasi irreali, come una fantascienza di verde, nero, rosso e di bianco allucinato della luce artificiale. Al colore si sovrappone in alcuni punti il bianco e nero. La tv e la radio di continuo nello sfondo, in parte in cinese e in parte in inglese, a indicare gli aspetti di bilinguismo di Hong Kong.

“La notte è piena di personaggi strani”, commenta una delle voci fuori campo, indicando il gruppo umano della pellicola. Il destino di questi personaggi è segnato e difficile da mutare. Dopo un incontro di calcio tra Sampdoria e Hong Kong, una delle protagoniste dice di aver accettato di andare a vedere quella partita perché sperava succedesse un miracolo, ma ciò non è destinato a verificarsi.

La fluidità non sempre consequenziale della narrazione, scandita da elementi di legame strutturale, come la moto del ragazzo muto e i movimenti rapidi delle nuvole tra i grattacieli, elementi sottolineati dalla musica pop cantonese e occidentale, si potrebbe vedere metaforizzata nella massima, lasciata cadere in parte ironicamente, in parte come filosofia spicciola, in parte come contrappunto esistenziale seriamente inteso dell’umanità rappresentata nel film: “Dicono che le donne sono fatte d’acqua; ma lo sono anche gli uomini”. Le difficoltà di determinazione dell'identità e la sua mutevolezza parrebbero segnalati dai cambiamenti del colore dei capelli in due personaggi. Al contempo è anche dei rapporti tra uomini e donne che parla questo film e soprattutto delle delusioni amorose.

Le voci fuori campo sono forse un richiamo ai film di Hollywood tratti da romanzi di Chandler. Altri richiami filmici occidentali sono forse al montaggio di Antonioni. La cinepresa riprende azioni fissandosi talora sui volti e sui movimenti per periodi più lunghi di quanto solitamente accade: non il rallentatore, ma i movimenti stessi sono condotti dai recitanti in modo più lento del normale. Si sottolinea così la presenza metafittizia della cinepresa; e si evidenzia l'ossessività delle azioni ripetute (come quando, nel mezzo della rissa, indifferente ai movimenti scomposti e violenti degli astanti, Ming, assorta nei suoi pensieri, porta alle labbra i bocconi degli spaghettini cinesi, prendendoli tra i bastoncini e sollevandoli da una ciotola, con gli occhi fissi e lentezza marcata della mano, appoggiata a un bancone a muro con la cinepresa a pochi centimetri dal suo volto). Il ragazzo muto, da un certo punto in poi, prende a girare per suo padre dei video delle persone del suo ambiente, le stesse del film che stiamo vedendo, come a dimostrare la veridicità delle immagini, oltre a notare, allo stesso tempo e per converso, la loro convenzionalità, riposta nel fatto che chi sta qui filmando dentro il film è un attore.

[Renato Persòli]