09/05/09

Najo Adzovic. IL POPOLO INVISIBILE ROM


[Approach to invisibility through perspective and fragments. Foto di Marzia Poerio]


Najo Adzovic. IL POPOLO INVISIBILE ROM. Roma, Palombi, 2005.


Racconta le proprie memorie in modo conciso e il più possibile oggettivato questo libro di Adzovic, Rom dell'ex Jugoslavia, costretto a fuggire per aver disobbedito, quando era sottotenente nell'esercito, durante la crisi successiva al crollo del comunismo, all'ordine di fucilare dei soldati colpevoli solo di essere musulmani. Riparato in Italia, è successivamente tornato indietro per portare anche la famiglia, infine costruendosi una baracca nel campo Casilino 900 di Roma, le cui condizioni miserrime, senza acqua potabile ed elettricità, con situazioni igieniche precarie, sono descritte con precisione, lamentando lo scarso intervento delle autorità, sperando che i più giovani, attraverso l'istruzione e l'apprendimento della lingua italiana, possano un giorno migliorare le condizioni di vita e instaurare rapporti fattivi di comunicazione con i gagé, cioè con chi non è rom, parola, quest’ultima, che, spiega Adzovic, significa "uomo libero".

Oltre al racconto personale, il volume contiene esposizioni della vita del popolo Rom: il ruolo di preservazione della stabilità sociale della donna, i riti nuziali e funebri, la storia di emigrazione nei secoli.

La letterarietà è riposta proprio nello stile fermo, senza aggettivazione ridondante, fattuale, a tratti documentario e attuato con voce narrativa in prima persona.

Il senso dell'altro e del diverso è sempre presente; ed è positivo leggere questo quadro informativo sui Rom dall'interno della loro cultura. È importante a causa dei pregiudizi che esistono su questo popolo costretto a vivere in condizioni di povertà non certo desiderate. In un passo del libro si legge:

"La libertà è sempre stata negata a tutto il popolo Rom, da tutti gli stati [...]. Sono sempre state erette delle barriere nei nostri confronti: a causa della nostra pelle scura, delle nostre usanze e delle nostre antiche tradizioni; perché eravamo dei chiromanti e dei chiaroveggenti e perché la nostra lingua non era compresa da nessuno. Tutto ciò non ha fatto che aumentare la diffidenza e la ‘negatività’ verso di noi, da parte di tutte le genti e di tutte le nazioni. [...] Ha sempre arrecato molto disturbo a qualcuno vedere che i Rom, anche loro, vivono come tutti quanti. O che, almeno, ci stanno provando. In tutti i modi, secondo le nostre possibilità. [...] Stiamo acquisendo una coscienza civile e una dignità sociale. Rappresentiamo una minaccia? Se tutti quanti diventassimo dei cittadini a pieno titolo, con i nostri diritti ed i nostri doveri, gli altri popoli si sentirebbero spiazzati e non saprebbero cosa fare" (pp. 47-49).


[Roberto Bertoni]