27/05/09

Gilberto Isella, INNESCHI


[The world was blurred in its reflection (London, 2009). Foto di Marzia Poerio]

Con sette collages di Enrico Della Torre. Signum edizioni d’arte, Bollate (MI), 2009

Immersione nel suono e nel senso: non è forse questa l’elargizione che sempre noi attendiamo dal contatto con la poesia? E, dunque, immediatamente trascinati nelle cataratte di un rutilante fluire di suoni e sensi, macchina per adescare e condurre con sapiente artificio alla meta, seguiamo Gilberto Isella nei meandri della sua ultima opera “Inneschi”, vero e proprio alambicco metamorfico, in cui il significato di parole prelevate da un tessuto linguistico scientifico, ma certamente non neutro, non inerte non innocente, viene costretto a trasmutare da un contesto culturale che separa scienza e arte, e le mantiene inerti in due culture refrattarie l’una all’altra, a un contesto in cui esse interagiscono producendo un livello “altro”, non unitario, ma più complesso e completo. “Due brividi nani dal cosmo cascato / in un’onda / Celeste il cespuglio di feto con l’ala / che affonda / Fetonte tradito dal canto che muove / nel sogno le leve / del sole”.

E certo, non soddisfatto da questo traguardo, il poeta vi ha aggiunto altra posta in gioco con movimento lestissimo: etica non può essere estromessa dal discorso scientifico, non nella nostra ricezione, non nell’uso che siamo chiamati a farne, nelle scelte e nelle valutazioni che, pure, dobbiamo effettuare: “freddo gaudio al mammifero umano / nel genoma che stride incrementa / con garbo toccando il corrimano / all’ebbro finire delle scorte”.

Una valutazione che chiama in causa tutte le risorse intellettive: etica, immaginario, sentimenti e che, comunque, non è esente da una critica della ragione, se essa è l’unica componente con cui si vuole affrontare il mondo o costruirlo. Obiettivo è che equilibrio regni fra ragione e passione e che mai una delle due componenti debba escludere l’altra, debba prevalere sull’altra: “Stenta il punto della situazione / senza più regole né conteggi / versa esche da pescherecci fermi / dentro una chiusa della ragione”.

Mai, peraltro, lasciando da parte un’estetica delle sensazioni, una bellezza che pure è ingrediente sempre ricercato, forse troppe volte comunemente scambiato con etica, ma comunque elemento da non sottovalutare quale costituente del nostro vivere, del nostro stare al mondo: “Armato di sola pioggia / il cielo insegue il volo di una starna / crudo sperpero di luce / quel lampo che le sue piume adorna”.

In questa pur brevissima silloge l’elenco è completo: non poteva mancare un riferimento alla nostra capacità di rappresentare un medesimo fenomeno con modalità espressive così divaricate, quali, appunto quelle scientifiche e quelle umanistiche: “ora dimora nel libro delle acque / e dice: sono la primavera”. Il riferimento al libro della natura è però la pertica con la quale Gilberto Isella salta verso tutti i libri del mondo, compreso quello scherzoso e immaginifico della favola, dove la realtà viene riconnessa da una para-razionalità: ciò che ragione sembra, mentre non è che la sua parodia: “Abitava l’aeroplano di carta / volava tra le luci del teatro / tracciava nell’alto una curva / rifaceva l’orlo a quella bimba / che usciva dal gomitolo di lana”. Ecco che qui il poeta si palesa come creatore di mondi che proliferano da una cultura che non ha dighe o pregiudizi, che serve all’uomo e che non lo domina con paralizzanti dogmi. Arte e scienza come un nastro di Möbius da perlustrare senza palizzate: la cultura non ha due superfici.


[Rosa Pierno]