31/01/09

Walter Friedrich Otto, IL MITO

Genova, Il Melangolo, 2000

La visione del mito di Otto (1874-1958) è volta verso un’interpretazione che ne faccia rivivere la natura più propria e originaria: il mito “genuino” (p. 24), ovvero non riproposto in forme neoclassiche, come per il pensatore tedesco potrebbero essere tanto le favole di Apuleio quanto il neoclassicismo, rappresenta la “verità dell’essere”, conduce all’“essenza delle cose” (p. 23), orienta la vita individuale e la società.

Secondo Otto, il mito genuino non rappresenta una “mentalità” (p. 24) o una manifestazione di primitivismo. Si tratta semmai della resipiscenza del sacro, dell’emergenza del divino e di un richiamo anche cultuale. Il mito genuino è “vincolante per l’esistenza umana nella sua totalità” (p. 35).

Il mito modernamente, a parere dello studioso, rinasce nella poesia che, sebbene non sia mito, anzi ne costituisce un’“ombra” (p. 26), utilizza però le parole, che del mito sono una delle forme proprie, e può reincarnarlo dando l’impressione che a pronunciare non sia l’autore, bensì “l’essere stesso delle cose” (p. 25).

L’origine del termine “múthos” è ricondotto alla sua commistione originaria con “lógos”, che solo in una seconda fase storica si distinsero in quanto elaborazione fantastica e razionalità. In quanto “parola”, il mito è per Otto “un’autorivelazione dell’essere”, non c’è distinzione tra parola ed essere (p. 32).

Chi qui scrive apprezza l’importanza della differenziazione tra mito genuino e no, anche per un certa inflazione nell’uso del termine che pare giudicare mitico anche il fantastico o le imitazioni neomoderne oltre che neoclassiche. Il mito a nostro parere ha necessità di un contesto. Detto questo, il rilancio del sacro e del cultuale, e una certa funzione iniziatica del poeta, ci sono estranee.


[Roberto Bertoni]