11/11/08

Gio Ferri, L'ASSASSINIO DEL POETA


[To the bone. Foto di Marzia Poerio]


Gio Ferri, L'ASSASSINIO DEL POETA: LE PAPILLON CRUEL (Canti XVI-XXV), Verona, Anterem Edizioni, 2007 (III volume della serie)


La poesia a puntate. Una trovata, una innovazione. Si resuscita il feuilleton, con apporto poetico, a diluire, bevanda cauta, il pasto grosso, a digerire, per pause, il leggere e il gustare (papille… auditive?) materia sonante, orgiastica. Il ritmo è alternativamente sereno e affastellato, stretto o incalzante, governato a rigore come già lo conosciamo dai precedenti Canti.

Nell'organico del proprio stile si afferma il poeta, qualunque tema lui porga. Qui è da notare come questa particolare “scrittura” (l”indagatore fra incartamenti vari appunta forme/mappe), pur sconfinando in un quasi-racconto seriale di delitto e investigazioni - e proposto a puntate, un tipo di giallo/noir dell”inconscio, in libri che si susseguono a intervalli regolari (novità progettuale, in questo campo) - possa adeguarsi a un gusto corrente che l”epoca nutre fra le nuove generazioni in materia di cult, senza dimettersi dal suo statuto di poesia austera e pensante, derivata dai grandi padri sia per tenuta del verso che per scelta lessicale, in un generarsi moderno sempre presente a se stesso e sempre in divenire, secondo le esigenze dell'“arte dello scrivere”.

Lingua sapiente di poesia e materia d'amore in decomposizione cadaverica. Qualcosa come una descrizione grafica in perfetta disposizione geometrica che spinga linee d’asintoto, tangenza in un punto improprio. In questo modo si ovvia al noto, al ripetitivo, allo scontato. Un’invenzione del genere, appunto, è un “modo” poetico di “narrare”. A tratti, e per un certo tenore di strofa, paragonabile perfino a ritmi di “manga” per la sua espressione figurativa.

Diverso dall’approccio comune del destreggiare poesia, extra-vagante nel suo movimento di sequenza, produce un pensiero colto e nervoso, scherzoso e fazioso, pervaso di ironia. È un inno comunque alla “parola”, alla sua “allure” extra-ordinaria. Forma alto-simbolica contro discorso basso del materiale. In altre parole, una poetica che si situa in un sistema linguistico e letterario di antica tradizione con esiti d’avanguardia.

C’è sempre un sottotitolo. Questa volta LE PAPILLON CRUEL (terzo volume de L’ASSASSINIO DEL POETA) interviene a lenire una crudeltà “benigna” DI KATY DALLE ALI BLU nel morso dei Canti (sequenza XVI-XXV). Crudeltà di farfalla, il leggero del volo non si appesantisce neppure imbrattato d’ali nella tinta del polline. Amore platonico non pesa. (“Katy dolcidula Katy / crudele bocca feroce / la mia passione atroce / la croce dei miei martìri / la foce delle mie fluenti / voglie la voce che chiama / da quelle soglie ansie doglie / e l’anima mia discioglie”.)

Un poeta è assassino o è stato assassinato? Nei Canti XVI-XVII introduttivi/continuativi del presente volume, condotti in ottave di perfetti versi ottosillabici, pare che il numero 8 porga una chiave di soluzione esoterica all’enigma protratto in peripezie romanzesche. Tuttavia, anche quando cambia metro, chi scrive (l’indagatore) è meticoloso nel preservare regolarità di struttura alla strofe della sua ricerca, in un procedere di severissima indagine.

Centrale di questo volume è il problema di Katy, o “l’abbandono”. La farfalla dalle ali blu è scomparsa, né si rintraccia segnale di lei. (“così l”abbandono riporta il dono / della crudeltà al parossismo delle viscere”. Il protagonista sente in sé disseccarsi la parola che lo guidava a capire: “infelice dissecca la radice della vaga / astanza”.

Nel labirinto della sua mente si sigilla la solitudine: “solitudine è un grave moto astrale”. Finché il silenzio si fa cerimoniale: “speco bieco e greco roso / ròsa ascosa dei venti”. Si spezza la parola nel cervello, tutto il ricercare svanisce in un nulla irrazionale” “humus”, “sapida sapodilla”, “tzapoll fruttifico”, “aztèko” /“perduto […] / […] e muto”. Per concludersi in un profondo silenzio di sonno: (“si muta allora illuso aduso / e gioca di segno che taccia!”).

Senonché, Katy a un tratto ritorna. Fluttuano i nomi ancora sulle sue ali. L’istinto del Commissario indagatore si risveglia. Sopra un foglio ritrovato, un sonetto di Shakespeare, il n° 107 nei vv. 5 e 8, viene analizzato per variazioni di traduttori-poeti che vi stemmano ognuno la propria impronta (“parola canta alla viola”), alla ricerca di un indizio di delitto.

Così sbattendo le ali, il papillon stregato di crudeltà gli fa incrociare nomi propri in elenco, per confrontare significati. A quale d’essi dovrà ricondursi l’indagatore? (“Katy non parla, farfalla crudele, dice il suo corpo”). Dove si nasconde la soluzione del mistero?

“The mortal Moon hath her eclipse endure […] //[…] And peace proclaims olives of endless age”, dice Shakespeare. Si profila un raggio di speranza. Superate le oscurità, torna in luce la nominazione. Il vero di ciò che è reale. Così le carte del passato diventano fiamma, ciò che è nuovo procede in pace il suo corso: “Katy crudele s’invola / si prende l’anima sola e nella fiammata grida / parola di verità”.

Il mistero di Katy se svelato concluderà l’indagine in futuro? Gio Ferri non demorde. Racconta e si racconta, lingua senza tempo perseguita nel tempo, dialettica che supera i confini del suo stesso proposito, insegue “oltre questi canti altri canti, oltre questa vita altra vita”. Dopo la presente trilogia, che batte numeri dispari d”uscita - 2003, 2005, 2007 - (anche questo è un significato?), forse il 2009 porterà un”ulteriore “prova d”autore”. Il finale lascia spazio bianco.


[Giuliana Lucchini]